Renzi molla Gentiloni I “suoi” ministri in fuga dal voto su Bankitalia

«Ciascuno rimane con le proprie idee», sottolinea Matteo Renzi. Che mette agli atti il proprio dissidio con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni sul caso Bankitalia e la riconferma di Ignazio Visco.

Ma il leader Pd fa di più: una pattuglia di quattro ministri renziani (Maria Elena Boschi, Graziano Delrio, Luca Lotti, Maurizio Martina) non partecipa al Consiglio dei ministri chiamato a ratificare la decisione.

Una diserzione decisa per rendere plateale la «opinione diversa» che Renzi aveva sulla nomina, anche se coperta da giustificazioni di circostanza: Delrio e Boschi (sulla quale peraltro c’erano i fucili spianati di chi chiedeva che non partecipasse alla decisione per conflitto di interessi) indisposti, Lotti a Modena, Martina a Napoli per la conferenza programmatica del Pd che si è aperta ieri. Nel pomeriggio, però, mentre il Consiglio era di mattina: per questo quando il ministro dell’Agricoltura, che aveva confermato la sua presenza, ha informato che invece non ci sarebbe stato, a Palazzo Chigi hanno capito che c’era stata una decisione politica del segretario Pd.

Il quale, spiega un esponente di governo, «è convinto che la posizione di rottura su Bankitalia gli abbia portato consensi, anche nei sondaggi, e quindi tiene duro, a costo di fare uno sgarbo a Gentiloni».

Il premier ha incassato con il consueto aplomb, nella convinzione che l’incidente vada chiuso al più presto e l’apparente dissidio debba essere messo sotto controllo. Anche per questo è pronto, oggi, a salire sul treno di Renzi che lo porterà a Napoli, e a sancire con un abbraccio davanti ai fotografi l’amicizia col leader del suo partito. Il quale a sua volta assicura che la vicenda «non cambia nulla al desiderio di lavorare insieme per il futuro», anche se «la scelta (di Gentiloni, ndr) è stata diversa da quella che avrei auspicato» e «io sono uno che non le manda a dire».

Non tutti però nascondono il disappunto bene come il premier: alcuni ministri, da Franceschini a Orlando (che accusa Renzi: «Basta dire ogni giorno cose diverse») a Finocchiaro ad altri, hanno lasciato trapelare la propria irritazione per la «sceneggiata» renziana, giudicata «un segno di debolezza» e non gradita da chi si è dovuto far carico di una «decisione delicata», come ha detto Franceschini, e teme che il Pd continuerà ad attaccarla.

Gli stessi ministri si son detti preoccupati anche dallo strappo di Pietro Grasso, che si sgancia dal Pd (cui peraltro non era iscritto) per lanciare la propria candidatura a leader di Mdp e denuncia come «violenza» la fiducia sul Rosatellum. «Spero torni», dice accorato Veltroni. Nel Pd però sono furibondi: «Una mossa premeditata. Tanto che non ha fatto nulla per impedire il voto segreto sulla legge, che ha motivato la fiducia», dicono. E si racconta di una certa irritazione col presidente del Senato anche al Quirinale, che aveva assai a cuore l’approvazione della legge elettorale e ha avallato le scelte del governo. Compresa quella fiducia contro cui Grasso, ora, si scaglia.

IL GIORNALE

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