In Val di Susa l’inferno scende dai monti. “Chiudo casa, speriamo di ritrovarla”
I Canadair croati sono arrivati nel pomeriggio. Gli svizzeri, con i loro elicotteri, voleranno soltanto domani, vento permettendo. I francesi, la colonna dei Sapeur Pompier con i loro mezzi piccoli in grado di operare tra le case delle borgate, sarebbero pronti a partire. Sarà anche vero, come dice qualcuno, che l’Europa si sta mobilitando per il Piemonte in fiamme. Ma, visto da qui, da questa strada che da Susa porta al centro di Venaus, sembra che l’inferno stia uscendo da sotto terra e, in un attimo, debba inghiottire tutto: la montagna che è tutta rossa, le case abbarbicate alle rocce, la strada, le auto e tutti quegli uomini che cercano di fermare il fuoco. E la signora Antonietta si siede su un muretto in cemento armato della piazza di questa borgata che si chiama San Francesco e piange perché il suo mondo se ne sta andando in cenere.
La sua casa è proprio lì, sotto il costone che sta bruciando: basterebbe che arrivasse un tizzone acceso sul tetto e tutto ciò che ha finirebbe in cenere.
Nilo Durbiano è un sindaco abituato alle emergenze nel suo territorio, Venaus, l’ultimo comune raggiunto dal fuoco. Alle otto di sera, dopo una giornata di battaglie, di telefonate, è riuscito a far arrivare le autobotti anche in frazione Berno e ad allontanare tutti gli abitanti: stanotte qui non può dormire nessuno. Come a Mompantero, come a in altre borgate dove le fiamme sono praticamente alla cinta dei giardini delle case più in alto.
Con le lance. Alcuni volontari dell’Anti Incendi Boschivi all’opera la scorsa notte a Mompantero, in provincia di Torino, una delle zone più colpite dai roghi
Nilo Durbiano è un sindaco abituato alle emergenze nel suo territorio, Venaus, l’ultimo comune raggiunto dal fuoco. Alle otto di sera, dopo una giornata di battaglie, di telefonate, è riuscito a far arrivare le autobotti anche in frazione Berno e ad allontanare tutti gli abitanti: stanotte qui non può dormire nessuno. Come a Mompantero, come a in altre borgate dove le fiamme sono praticamente alla cinta dei giardini delle case più in alto.
L’autostrada che collega Torino con le Valli Olimpiche, con Bardonecchia e Sestriere, e che passa proprio accanto alle montagne in fiamme, continua a restare chiusa da Chianocco a Oulx, in entrambe le direzioni. C’è troppo fumo, è come viaggiare in una giornata di nebbia densa in Pianura Padana. Ma con il fuoco che ti insegue, oppure ti accompagna per chilometri.
Alle quattro del pomeriggio di questa domenica di delirio, il responsabile della Croce Rossa di Susa allerta tutti i suoi ragazzi: «C’è un problema grosso». Si chiama casa di riposo Cora, a Susa, una struttura con 190 ospiti, molti non autosufficienti. Il fumo dei roghi è sceso fino a lì, c’è già qualcuno che sta male. Gli ospiti vanno portati in salvo perché sono anziani, e perché molti hanno seri problemi respiratori. Ma, per farlo, servono pulmini attrezzati, servono persone, serve tempo. Radio che gracchiano, telefonate, consulti tra volontari. Alla fine si trova una mediazione: «Andranno via soltanto gli ospiti più gravi». Ma da villa Cora qualcuno chiama i parenti a casa: «Venite a prendermi, qui non si può più stare». È così a sera fatta le persone che lasciano la struttura sono una quarantina in tutto.
Sandro Plano, battagliero sindaco No Tav, si fa sentire anche al vertice. La soluzione è una mediazione che accontenta tutti: «Se non peggiora, 150 ospitati restano lì».
Se va male si va via in massa, sui pulmini che quelli della Croce Rossa lasciano posteggiati davanti alla struttura tutta la notte. È un buon compromesso. E se il vento che spazza queste montagne ormai da giorni cambia direzione, o se cessa del tutto, il problema è risolto. Ma è una pia illusione che tutto finisca così. Piove cenere adesso su Mompantero, e arrivano file di volontari a far una mano. «E’ la nostra resistenza» dice una ragazza bionda che con un ragazzo suo coetaneo spinge una pompa su ruote, destinata a pescare acqua dalle rogge con cui spegnere i roghi. «E noi abbiamo quasi perso una nostra casa lassù tra gli alberi, abbiamo lavorato da soli e adesso ce ne andiamo sfiniti» si sfogano i ragazzi con il pick up bianco. Sono le cinque del pomeriggio ma qui sembra già notte, tanto fumo c’è nell’aria. Arrivano due Canadair, sganciano l’acqua e se ne vanno. Servirebbero passaggi continui, ma con ’sto vento gli aerei fanno fatica a volare e con ’sto fumo quasi non riescono a vedere dove lanciare. Ma ci provano.
Alle 10 di sera la battaglia va ancora avanti. Berno è sgomberata. A Mompantero non c’è quasi più nessuno. I carabinieri bloccano le strade. I pompieri coordinano aiuti in arrivo da altre regioni. E il fuoco avanza. Con il naso all’insù e un bicchiere in mano, una decina di persone se ne sta davanti al bar sulla strada che da Venaus porta verso Novalesa. Il fuoco sembra quasi di poterlo toccare allungando una mano verso la montagna. Cala a picco verso il paese. Non è più compatto, si è diviso in mille piccolo incendi. «Corre attraverso i boschi velocissimo» dice Renato Bruno che coordina come ispettore i volontari dell’Aib. Corre così veloce che ti immagini che da un momento all’altro arrivi su anche a Novalesa. O che scenda a Venaus paese. E c’è già chi tira in ballo la storia del rogo del 1983, quando il fuoco distrusse una grossa parte del centro abitato, lasciando indenne la chiesa di San Biagio. «Dobbiamo pregare perché non accada più» dice la pensionata davanti alla chiesa. «No, devono a mandar più uomini a darci una mano» ribattono al bar. «No, deve passare il vento» spiega chi lavora. Per intanto il fuoco ha conquistato un altro spicchio di montagna, con castagneti e rovi. E i pompieri fanno il cambio turno. Qualche ora di riposo e poi via. Sperando nella pioggia. O in un miracolo di San Biagio.
LA STAMPA