Chi controlla i vaccini? Ecco come funziona la farmacovigilanza
Tutte le risposte alle domande sui vaccini risiedono nei dati. Una montagna di dati, custodita in almeno due database gestiti a livello europeo, che la scienza sa già analizzare ma che potrebbero essere “interrogati” in modo ancora più efficace. Si tratta di informazioni che rappresentano l’inizio e la fine di una lunga catena: la vaccinovigilanza, il sistema di controlli sui vaccini prezioso per la tutela della salute. Perché è proprio ai dati sui controlli che bisogna guardare se si vogliono le risposte alle richieste, legittime, di notizie sul modo in cui funziona l’immunizzazione, a partire dalle procedure con cui sono smistate le segnalazioni sulle cosiddette reazioni avverse.
Pier Luigi Lopalco, epidemiologo dell’Università degli Studi Pisa e divulgatore scientifico, nei suoi interventi al pubblico esordisce quasi sempre dicendo che come tutti i farmaci esistenti, anche i vaccini possono comportare effetti non voluti. «E’ normale che i vaccini possano presentare effetti indesiderati, come tutti i farmaci, ma è appunto importante monitorare questi effetti che sono comunque inferiori ai benefici dell’immunizzazione: l’obiettivo è quello di studiarli per capire come ridurli ulteriormente», spiega a La Stampa. La posizione è confermata dalla letteratura scientifica e dagli studi sulla sicurezza dei vaccini: ad oggi, nel rapporto rischi/benefici i secondi superano di gran lunga i primi.
Questo porta non solo le autorità nazionali ma anche realtà non-profit come Medici Senza Frontiere a battersi per garantire o far acquisire il diritto all’immunizzazione perché i dati dicono chiaramente che i vaccini godono di un tasso di segnalazione degli effetti collaterali molto inferiore a quello delle reazioni provocate dai farmaci tout court (e di cui diamo conto in questo approfondimento).
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Per ridurre o contenere anche questi effetti, però, occorrono molta ricerca e molte informazioni. A Uppsala, in Svezia, è custodito uno dei più grandi database mondiali sulle segnalazioni farmacologiche che includono anche quelle sui vaccini – il Vigibase, sistema gestito dall’Uppsala Monitoring Center che è una costola dell’Oms. Questi dati hanno bisogno di costante manutenzione e adattamento (il solo team di sviluppatori, ricercatori, sistemisti ed esperti di terminologia e classificazione di sintomi e segnalazioni è composto da quasi 40 persone ) perché l’organizzazione raccoglie informazioni dal 1968 e ha messo a punto un sistema di vigilanza codificato digitalmente a partire dal 2007. Nonostante le oltre 750 mila notifiche vaccinali stoccate nel database, i possibili modi di interrogare e correlare questi dati non sono ancora stati esplorati del tutto: eppure riuscirci è un obiettivo di molti team di ricerca internazionali, perché i vaccini possono essere migliorati anche grazie alla conoscenza di reazioni rare o mai conosciute prima. Per adesso l’analisi è preziosa e identifica la maggior parte degli effetti indesiderati con lo scopo di ridurli e aumentare i benefici della copertura immunitaria.
Chi maneggia le segnalazioni sui vaccini in Italia
Entrare nel mondo dei controlli sui vaccini è come avventurarsi in un sistema di sicurezza medievale: ci sono le sentinelle, i bastioni e livelli di guardia più alti e il fortino centrale da cui partono gli ordini su come muoversi in caso di problemi – anche solo presunti – nella barriera di difesa. La sorveglianza sui vaccini infatti fa parte di un’attività più ampia, la farmacovigilanza, e ha una struttura estremamente capillare. Questa struttura ha essenzialmente due rami: una vaccinovigilanza attiva e una vaccinovigilanza passiva. Mentre nel primo caso sono gli organismi governativi che attivano indagini e controlli sui prodotti somministrati e sui paziente trattati, nel secondo la verifica si alimenta “dal basso”: grazie, cioè, all’impulso di medici, ospedali e cittadini (le sentinelle) quando denunciano quelle che in gergo tecnico sono dette sospette reazioni avverse all’immunizzazione. Le centrali di raccolta più importanti di queste denunce, in Italia, sono le Asl sparse su tutto il territorio.
«Esiste un referente di farmacovigilanza per ognuna delle Asl della Regione il cui ruolo è quello di raccogliere, gestire, inserire e analizzare le segnalazioni spontanee di sospette reazioni a farmaci (tra cui anche i vaccini).Tutti gli operatori sanitari e tutti i cittadini possono segnalare qualsiasi sospetta reazione avversa», spiega Lorenza Ferrara, epidemiologa e coautrice del rapporto con cui l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), l’ente governativo deputato alla vaccinovigilanza, rende noti i risultati dell’attività di vigilanza.
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L’ente ha infatti istituito un Gruppo di Lavoro per la Vaccinovigilanza, con rappresentanti del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità e dei Centri Regionali di farmacovigilanza e di Prevenzione. Lo scopo è gestire e approfondire eventuali segnali provenienti dalle denunce di sospetti Aefi (Adverse Event Following Immunization) inseriti nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza (Rnf). Tutti i referenti regionali che ricevono e scremano le prime segnalazioni sono resi noti nell’elenco aggiornato dei responsabili di farmacovigilanza, sul portale dell’Agenzia (qui la lista). Al momento la rete è composta da oltre 300 responsabili.
Causa ed effetto
L’Aifa analizza e pubblica periodicamente i dati sulle segnalazioni in un Rapporto sulla sorveglianza postmarketing dei vaccini in Italia . E’ un documento che riporta sia il numero dei soli sospetti segnali d’allarme (quindi mere presunzioni di effetti collaterali) sia i dati sui casi clinici più o meno gravi entrati nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza , chiarendo per ciascuno se sia stata trovata o meno la correlazione con i vaccini. Una correlazione individuata non solo dalla ricerca scientifica ma grazie anche ai big data e al confronto con le banche dati europee e internazionali che sono liberamente accessibili tramite richiesta a medici, operatori, ricercatori. Questa correlazione in alcuni casi è calcolata tramite un algoritmo in grado di stabilire, in base alla casistica e alle condizioni in cui si verifica l’evento segnalato, l’esistenza o meno del rapporto di causa-effetto. Nel periodo 2014-2015 per nessuno dei casi gravi inseriti nella rete nazionale è stato riscontrato questo nesso perché o non è stato riscontrato o le informazioni per stabilire la correlazione erano carenti o, infine, perché sulla base delle conoscenze acquisite non era possibile determinarlo.
Quali segnalazioni meritano attenzione
Per segnalazioni si intendono tutte le segnalazioni, a prescindere dalla vera esistenza di un nesso tra un sintomo e la vaccinazione, nessuna esclusa. Dati grezzi, classificati per lo più in base alla diagnosi della patologia e la descrizione della reazione avversa, a prescindere da legami comprovati con le somministrazioni. E’ un passaggio importante perché, da un punto di vista statistico, non è possibile dedurre il rischio di un vaccino dalle sole informazioni sui presunti effetti collaterali: i falsi allarmi, infatti, falserebbero questa incidenza.
Alcuni dati
Le segnalazioni denunciate a livello locale vengono inserite nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza, che raccoglie tutte le denunce sui farmaci e anche sui vaccini. L’Rnf gestisce circa 400 mila segnalazioni. Di queste, circa 25/30 mila riguardano vaccini. A livello mondiale le segnalazioni sui vaccini, sia attive sia spontanee, sono invece 750 mila (dati Oms – Vigibase). Non appena una denuncia è inserita nel sistema, la Rete rimanda i dati di allerta alle Regioni, alle stesse aziende farmaceutiche e ai sistemi di vigilanza europei (Eudravigilance) e mondiali (Oms).
Nonostante questa mole di informazioni (e nonostante la capillarità della raccolta dati) «dalle analisi delle segnalazioni spontanee non è possibile calcolare l’incidenza delle reazioni avverse», spiega il rapporto dell’AIfa, e questo perché «in un’unica segnalazione o caso, possono essere riportate più reazioni, quindi il numero dei casi segnalati può non corrispondere al numero delle reazioni» (p.4 del Rapporto).
Un conto quindi sono le denunce, un altro è capire quanti siano davvero gli effetti collaterali comprovati per ogni tot di somministrazioni e di riflesso avere un parametro per poter dire se un farmaco o vaccino sia rischioso e in che misura. «Un alto numero di segnalazioni non è assolutamente sinonimo di pericolosità ma il segno che il vaccino è altamente monitorato», spiega Ugo Moretti, responsabile del team di ricerca dell’Università degli Studi di Verona che realizza gli strumenti di analisi delle segnalazioni nella vaccinovigilanza nazionale. E’ il suo gruppo di lavoro che con l’Aifa ha creato il portale online per la raccolta delle denunce spontanee e dirette (senza intermediario). «Dentro il Vigibase ci sono circa 750.000 segnalazioni da vaccino nel periodo dal 2007 a oggi. Il 55% di queste è Americano, il 30% viene dall’Europa – continua Moretti -. Circa un quinto delle segnalazioni europee è italiano. L’Oms ha anche pubblicato un dato che riporta le segnalazioni Italiane come le più complete al mondo (tra i Paesi che hanno un alto numero di segnalazioni). Ciò significa che contribuiamo in maniera pesante alla sorveglianza dei profili di rischio dei vaccini a livello mondiale».
Il ruolo delle Ong nella sicurezza sui vaccini
Anche se la sorveglianza farmacologica è un’attività governativa, la ricerca sui vaccini e i riscontri sulla loro somministrazione può essere realizzata anche parallelamente da enti privati e non-profit. «E’ vero che il grosso della ricerca sui vaccini è privata ma esistono anche realtà miste o del tutto indipendenti dal mondo farmaceutico. Ad esempio la Bill&Melinda Gates Foundation che finanzia la Global Vaccine Safety Inititiative. Poi ci sono ricerche completamente pubbliche per lo sviluppo di vaccini contro malattie come la malaria, l’Hiv, la tubercolosi», spiega l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco. Tra le iniziative ibride note in Europa, ad esempio, c’è l’Innovative Medicine Initiative, un progetto che raccoglie finanziamenti pubblico-privati (50% Ue e 50% industria farmaceutica) per finanziare ricerca di base in campo farmacologico.
Il ruolo delle Ong invece è quello di contribuire all’immunizzazione vera e propria, monitorando sul campo l’efficacia delle somministrazioni, e così facendo le organizzazioni si trasformano in produttori di meta-dati essenziali per monitorare la sicurezza dei prodotti. Medici Senza Frontiere è una delle realtà più attive in questo campo, con un progetto per l’accesso alla vaccinazione dei paesi in via di sviluppo. Ospite del Festival di Internazionale di fine settembre a Ferrara, Rohit Malpani, direttore della sezione Policy and analysis della campagna Accesso ai farmaci di Medici senza Frontiere (Msf), ha spiegato che «l’accesso alle vaccinazioni è una sfida su cui MSF si è concentrata negli ultimi 40 anni. Oggi ancora 1 bambino su 5 non ha accesso alle vaccinazioni nei paesi in via di sviluppo e stiamo lavorando per colmare questo gap».
«Noi somministriamo tutti i vaccini di base e anche quelli contro il papilloma virus. Solo nel 2013 siamo riusciti a somministrare 6.7 milioni di dosi in aree di guerra e crisi in cui i vaccini sono altamente richiesti, ma abbiamo enormi difficoltà nel reperire in Occidente prodotti sempre adatti alle nostre missioni e soprattutto a costi accessibili». Che tipi di vaccini usa allora Msf? «Per alcuni tipi di vaccino ci riforniamo da produttori indiani e cinesi. India e Cina infatti sono tra i più validi produttori di vaccini, ma per problemi di brevetto non possono penetrare alcuni mercati». Malpani ha ben chiari i meccanismi di distribuzione di questi farmaci e delle procedure di sicurezza a cui devono essere sottoposti (prima di approdare a MSF, ha lavorato per Oxfam e per l’Organizzazione mondiale della sanità) e ritiene che quelli realizzati dalle economie emergenti siano dei buoni prodotti.
Tra i vaccini somministrati da Medici Senza Frontiere figurano anche marchi come Merck, GSK e Sanofi. Malpani, inoltre, ritiene che la vaccinazione sia un obiettivo fondamentale ma che il problema più grande non sia assolutamente la sicurezza quanto l’approvvigionamento e la barriera economica che impedisce una distribuzione più libera di farmaci essenziali. Nell’ultimo report disponibile del 2015 l’Ong definisce l’attività di immunizzazione una “pietra angolare” del proprio impegno umanitario.
Non serve il medico per segnalare una reazione avversa
La sicurezza è cruciale per la tutela della salute e questo livello di sicurezza per i vaccini è paradossalmente garantito anche dalle denunce su eventuali effetti collaterali. In Italia, lo abbiamo visto, le notifiche possono essere presentate in Asl, dal medico o dal paziente, oppure online scaricando un modulo dal sito della propria Regione o compilando un form nel sito creato dall’Aifa. Il sito ha due sezioni, una per gli operatori sanitari e una per chi, cittadino, voglia descrivere una presunta reazione avversa per conto proprio, di un figlio o di una terza persona. Non è quindi necessario un intermediario: se una persona si accorge di sviluppare sintomi durante o dopo la somministrazione, può e deve denunciare l’accaduto. Anzi, sono gli stessi organismi di controllo che stanno espandendo i mezzi e i modi per raccogliere quante più denunce spontanee possibili. Sempre il team di Moretti, ad esempio, sta lavorando a una versione app di Vigifarmaco e in Veneto ha avviato con i distretti Asl una sperimentazione per le denunce tramite sms.
Esiste però una differenza qualitativa tra la segnalazione fatta da un operatore sanitario e quella fatta da un cittadino non esperto? «Sì, esiste chiaramente – risponde l’epidemiologa Ferrara – Ma come prassi si ricontatta sempre prima il paziente, o il medico segnalatore, anche direttamente, per capire quali siano stati i sintomi e se si possa essere in presenza di una reazione avversa». E’ il protocollo previsto dalle linee guida sulla farmacovigilanza e la vaccinovigilanza in particolare: prima di scartare la segnalazione, specie quella di un non esperto, si deve indagare recuperando tutte le informazioni possibili. A partire dalla tempistica: più tempo trascorre tra la somministrazione e il vaccino più difficile è stabilire una eventuale correlazione. Ma, come spiega Ferrara, «vengono tenute in considerazione anche segnalazioni fatte in ritardo. Gli operatori sanitari hanno l’obbligo di segnalare la sospetta reazione entro 36 ore da quando se ne viene a conoscenza comunicandolo al medico o effettuando da soli la segnalazione; in molti casi i sintomi possono manifestarsi anche a diversi giorni di distanza dalla vaccinazione».
Una volta che queste segnalazioni sono omogeneizzate e inserite nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza, il sistema può avviare le procedure di verifica e controllo inviando le informazioni direttamente alle aziende produttrici dei vaccini e in contemporanea all’EudraVigilance, il sistema informativo di vaccinovigilanza europeo che fa capo all’Autorità Europea per i Medicinali e all’Oms tramite il centro di controllo dell’Uppsala Monitoring Center. L’Eudra database dell’Ema e il Vigibase dell’Umc custodiscono i due database che, rispettivamente a livello europeo e a livello mondiale, rappresentano la mappatura più completa di segnalazioni delle reazioni avverse ai farmaci e ai vaccini. Ed è grazie all’interrogazione e all’incrocio di questi dati che è possibile misurare la sicurezza di un prodotto. Le metodologie standard di analisi sono sempre indicate dall’EMA e dall’OMS ma esistono tecniche e ricerche di interrogazioni diverse elaborate all’interno di organizzazioni diverse, come ad esempio la stessa Food and Drug Administration in America: le maggiori aziende farmaceutiche infatti sono statunitensi, quindi una segnalazioni fatta dalla RNF a una multinazionale arriva indirettamente anche del database delle segnalazioni Oltreoceano. In questo modo una stessa segnalazione può essere oggetto di test e analisi del tutto indipendenti.
Il confronto con le segnalazioni sui farmaci
Quello che emerge, fino a qui, è un enorme lavoro di identificazione e raccolta delle informazioni su eventuali effetti collaterali. L’Italia, inoltre, è l’unico paese europeo a pubblicare in chiaro tutti i risultati dei riscontri e i dati sulle segnalazioni spontanee delle reazioni avverse. Dati che l’Aifa analizza di biennio in biennio. Nell’ultimo rapporto disponibile (relativo al 2014 e 2015) emerge che «Il 67% delle segnalazioni sono pervenute dagli specialisti, circa il 12% da altre figure professionali (che non rientrano nelle altre categorie, ad esempio medici vaccinatori), il 9% da medici ospedalieri» (pagina 36). Nel 2015 solo 77 segnalazioni sono state fatte direttamente dai cittadini e appena 23 nel 2014. Ma il basso numero si spiega con il fatto che il sistema di segnalazione online è partito solo nel 2014 a livello locale, in Veneto, ed è diventato nazionale di recente, a partire da febbraio 2017. Ugo Moretti conferma che già a settembre le denunce da parte dei cittadini sono aumentate.
Segnalazioni di sospette reazioni avverse (numero di segnalazioni in Italia cfr. vaccini e farmaci dal 2001 al 2015 – fonte pagina 23 Rapporto sorveglianza Vaccini Aifa 2014-2015)
Per capire se le segnalazioni siano tante o poche bisogna prendere dei punti di riferimento. Nel caso dei vaccini è utile il paragone con i farmaci. Sempre lo stesso rapporto infatti dimostra come dal 2001 al 2015 il numero di segnalazioni sui vaccini sia stato costantemente inferiore rispetto a quelle che riguardano i farmaci (come nel grafico). Nel biennio 2014/2015 in particolare sono pervenute 12.645 segnalazioni, 8873 nel 2014 (sia attive sia passive, pari al 18% del totale delle segnalazioni sui farmaci) e 3772 nel 2015 (9% del totale).
Oltre l’80% delle segnalazioni degli ultimi due anni sono state classificate come non gravi. Per quelle gravi (ma ad esempio può essere grave anche la reazione per cui ci sia stato un ricovero ospedaliero di routine) e per i decessi è stata avviata la procedura europea di verifica del nesso di causalità: in nessuno dei 66 casi di morte portati all’attenzione dell’Rnf avvenuti nel 2014 è stata riscontrata la correlazione tra il vaccino e l’evento fatale.
Tutte queste denunce sono elementi di cui le autorità però devono tener conto, anche se sotto forma di meri sospetti clinici. Ciò significa anche che sia sbagliato, a livello statistico, cercare di dedurre il rischio o la pericolosità di un vaccino partendo dalle sole segnalazioni perché queste possono rivelarsi falsi allarmi. Perché allora tenerne conto? Una prima risposta è nelle Linee guida alla valutazione delle reazioni avverse: più dati aiutano i sistemi di analisi ad essere più precisi. Paradossalmente la raccolta dei dati a livello locale e nazionale soffre di grossi limiti e quindi c’è la necessità di raccogliere quante più segnalazioni possibili per poterle confrontare con i due grandi database, quello europeo e quello mondiale. Questo confronto allo stato attuale è l’unico modo per individuare rischi sconosciuti o poco frequenti impossibili da rintracciare sulla sola base dei campanelli d’allarme nazionali. «Considerando tutti i vaccini il tasso di segnalazione medio annuale in Italia – si legge sempre nel resoconto Aifa – è nell’ordine di alcune decine di segnalazioni ogni 100.000 dosi (in media 18-25 su 100.000 dosi negli ultimi anni) e può non essere sufficiente ad evidenziare nuovi e poco frequenti rischi».
Poche segnalazioni significano poca possibilità di verifica a livello statistico e scientifico. «Le segnalazioni spontanee funzionano come segnali di allerta di possibili correlazioni da approfondire ulteriormente nell’ambito di database più ampi come la Rete Europea di Farmacovigilanza (EudraVigilance) e la Rete del Centro di Monitoraggio di Uppsala dell’OMS (Vigilyze) […] Più ampio è il database maggiore è la possibilità di catturare eventi avversi anche rari che possano eventualmente contribuire a modificare il profilo di rischio di un vaccino o più in generale di un medicinale, soprattutto per quanto riguarda gli eventi avversi rari».
Questione di big data
Sul modo più corretto di far parlare i dati tra loro, però, esiste una ricerca continua. Per esempio, a fine agosto 2017 lo stesso Uppsala Monitoring Center ha pubblicato i risultati di un esperimento su una nuova procedura di interrogazione dei dati per poter stabilire il rapporto di causa-effetto a partire dalle segnalazioni spontanee che riguardano il vaccino contro il papilloma virus. Questo vaccino è considerato tra i più importanti per debellare il rischio di tumore connesso al virus. E come tutti i vaccini è sottoposto a continui monitoraggi. Negli ultimi anni è stato oggetto di numerose segnalazioni e inchieste che hanno motivato le autorità sanitarie a contro-informare la popolazione sull’importanza della vaccinazione.
In Italia nel 2014, le segnalazioni riguardanti la vaccinazione HPV sono state 196 (di cui 131 relative al vaccino Gardasil e 65 al vaccina Cervarix) e nel 2015, 124, di cui 89 di Gardasil (tasso di segnalazione 27 per 1000.000) e 35 di Cervarix (17 per 100.000) [fonte Aifa]. Insieme a quelle mondiali sono confluite nel database Vigibase, lo stesso utilizzato dalla ricerca del centro di Uppsala. «Sull’Hpv ci sono state molte segnalazioni (ad esempio quelle per la sindrome da fatica cronica ndr), ma per la maggior parte di esse si è trattato di segnalazioni di vaccinovigilanza attiva (quindi appositamente avviate dagli organismi di controllo)» commenta Moretti. «Per dare un’idea, noi abbiamo fatto uno studio in Veneto sulla vaccinazione contro morbillo, parotite, rosolia e varicella e abbiamo raccolto attivamente oltre 3000 segnalazioni, quasi tutte lievi e attese, ma la segnalazione non è indice di rischio. In genere, vengono segnalati in media meno del 5% degli eventi avversi che si verificano durante l’uso dei farmaci. L’obiettivo della segnalazione è capire se esista o meno un problema e nonostante la bassa partecipazione il sistema è efficace nel tenere sotto controllo il profilo di rischio di farmaci e vaccini».
Accade però che i dati sulle segnalazioni non siano pienamente analizzabili per via della mancanza di definizioni standard dei sintomi a livello mondiale per uno stesso vaccino. Un modo per superare questi difetti di analisi dati è quello proposto da una ricercatrice dell’Umc di Uppsala, Rebecca Chandler, autrice di un documento che propone un nuovo approccio all’analisi delle segnalazioni delle sospette reazioni avverse. La ricerca parte dalle denunce relative al papilloma virus e al vaccino per combatterlo e ritiene che siano «necessari nuovi approcci alla vaccinovigilanza per inquadrare meglio le segnalazioni sulla sicurezza dei vaccini HPV»). «Negli ultimi anni – si legge nella ricerca – ci siamo focalizzati su un certo numero di segnalazioni relative al vaccino contro il papilloma virus (HPV), che includono la sindrome da dolore localizzato, la tachicardia e la fatica cronica, segnalazioni che hanno messo a dura prova le autorità sanitarie nazionali per via della mancanza di definizioni standard delle patologie». Il team della Chandler ha quindi interrogato il database mondiale in un modo diverso: identificando i casi simili sulla base dei soli sintomi descritti, anche in assenza di diagnosi. «Il numero dei casi con questo approccio aumenta – spiega Moretti – Ma si tratta comunque di dati descrittivi. Non vengono portati dati aggiuntivi».
In realtà il nuovo approccio è già stato sperimentato anche da altri team di ricerca (ad esempio in Norvegia) e al momento i dati analizzati , anche su un alto numero di casi, non hanno evidenziato un’associazione tra vaccino e sintomi (la stessa Ema aveva raggiunto conclusioni analoghe nel 2015). «Questa quindi è la situazione – conclude Moretti – abbiamo un vaccino (contro il papilloma virus ndr) certamente efficace nel prevenire i tumori, per il quale è segnalato un sospetto di poter provocare alcune patologie, sospetto che al momento non ha trovato alcuna dimostrazione in studi di farmacoepidemiologia».
I vaccini sospesi e ritirati in Italia
Cosa succede però nel passaggio tra la segnalazione e l’eventuale conferma della correlazione tra sintomo e vaccino? Anche in assenza di sintomi gravi le autorità nazionali preferiscono intervenire prima della fine dei controlli quando c’è rischio anche solo ipotetico per la salute. Il sistema italiano prevede due azioni: il divieto di somministrazione temporaneo per lotti specifici di prodotto (fino a oggi sono 13 i lotti di vaccini che nella Penisola hanno subito questo provvedimento, dati Aifa) e il ritiro definitivo del vaccino.
Da noi negli ultimi 14 anni sono stati ritirati in modo definitivo due prodotti. «Solo per due vaccini è stato disposto il ritiro dell’intero medicinale per problemi inerenti la sicurezza o l’efficacia», spiega l’Aifa. Si tratta del vaccino esavalente Hexavac (antidifterite, tetano, pertosse, epatite B, poliomielite e le malattie invasive da Haemophilus influenzae tipo B) e del vaccino trivalente Morupar. Ma solo nel secondo caso il ritiro è avvenuto per motivi di sicurezza (l’Hexavac infatti è stato ritirato nel 2005 perché non garantiva l’immunizzazione in adolescenza e in età adulta e non perché avesse profili di rischio). «L’Aifa ha evidenziato attraverso lo strumento della segnalazione spontanea un maggior numero di segnalazioni di reazioni avverse per Morupar, uno dei tre vaccini Mpr autorizzati all’epoca. Le reazioni osservate erano di tipo allergico, descritte in letteratura scientifica e nel range di frequenza previsto dall’OMS per quel tipo di vaccino. La presenza comunque di un’alternativa terapeutica (gli altri due vaccini Mpr) ha portato a riconsiderare il rapporto beneficio/rischio di Morupar, che è stato pertanto ritirato dal commercio».
I dati possono essere interpretati da metodi di ricerca scientifica diversi, ma con un sistema di monitoraggio simile, difficilmente possono essere nascosti, eliminati o passare sotto silenzio.
LA STAMPA