Rinvio dell’età pensionabile, perché è un errore ripensarci
Si chiede un rinvio di soli sei mesi. Ma è purtroppo ancora una volta il sintomo del diffuso voler continuamente ipotecare il futuro del Paese a spese di chi verrà dopo. Un rinvio emblematico in questi mesi che precedono lo scioglimento delle Camere e le successive elezioni. Un emendamento del Pd, partito di maggioranza, chiede di far slittare il decreto che dovrebbe attuare, entro fine 2017, l’adeguamento automatico dell’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2019, dopo che l’Istat ha certificato l’aumento delle aspettative di vita. Le opposizioni non sono state da meno. Il Movimento 5 Stelle chiede di congelare l’incremento fino al 2022, la più «moderata» Lega al 2020.
Un balletto di anni e cifre che non sembra fare conto con nulla che non sia far vedere di essere dalla parte non dei lavoratori ma molto più banalmente degli elettori. Trasferendo ai Parlamenti successivi e alle generazione future il compito di vedersela con i conti e la sostenibilità del sistema pensionistico. Una coperta troppo corta, cortissima se si pensa a chi ha un impiego da pochi anni o pochi mesi.
Ci sarà sicuramente qualche mago dei conti che troverà risorse (che non esistono) in cassetti che chissà perché qualcuno ha dimenticato. La realtà è che la sostenibilità della previdenza è data innanzitutto da quanto è ampia la contribuzione. E cioè da quanto più cresce il numero dei lavoratori rispetto a quanti invece non sono più impiegati. Ma, è questo il paradosso, tutti pronti a trovare il modo per spedire prima in pensione le persone, pochissimi impegnati a fare in modo che questo Paese produca lavoro. Che abbatta gli ostacoli all’intraprendere.
Ci si disinteressa del fatto che a settembre il numero degli occupati sia cresciuto di sole 2 mila (!) unità. Di politiche attive del lavoro (che pure nelle scelte della manovra del governo qualcosina si intravvede), altrettanto pochi discutono. E quanto conta anche questo continuo, incessante, tentativo di cambiare le regole in corsa negli scenari di «incertezza» delineati ieri da Dario Di Vico che spingono le imprese a servirsi di fatto solo di contratti a tempo determinato? Per inciso, negli ultimi dodici mesi su 100 occupati in più solo 7 avevano un ingaggio sine die. Molto più facile rinviare, congelare, spostare in avanti. Qualcun altro ci penserà.
CORRIERE.IT
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