Stupro di Roma: le chat, poi l’incontro. Il dramma di due 14enni ammanettate e stuprate. Arrestati due nomadi 20enni
Aveva chiesto all’amica del cuore di accompagnarla al primo appuntamento con un ragazzo conosciuto su Facebook da due settimane. Era affascinata ma anche intimorita da quel rom, tatuato e strafottente, che vestiva griffato e millantava conoscenze fra i malavitosi. Ma le precauzioni della studentessa romana di 14 anni non sono bastate: il giovane, Mario Seferovic, 21 anni, «Alessio il Sinto» per i suoi contatti social, l’ha violentata in un campo sulla Collatina, rifugio di prostitute e clienti. Poi ha abusato anche dell’altra, dopo aver ammanettato le due ragazzine a una grata, sicuro che nessuno lo avrebbe interrotto, perché a fare da vedetta c’era un altro rom, Maicon Bilomante Halilovic (20).
A sei mesi da quel drammatico pomeriggio di maggio — mai reso noto — ieri mattina i carabinieri hanno arrestato i due. Il primo per strada, a Tor Sapienza, vicino al luogo dove il 5 dicembre 2016 la studentessa cinese Zhang Yao perse la vita travolta da un treno per inseguire altri tre rom del campo di via Salviati che l’avevano scippata. L’altro invece nel container della sua famiglia in via di Salone, in uno degli insediamenti più grandi e problematici della Capitale. Sono accusati di violenza sessuale continuata e di gruppo, e sequestro di persona aggravato e continuato.
Seferovic ha precedenti per furto, Halilovic è incensurato. In un primo tempo erano stati solo denunciati, poi la loro posizione si è aggravata. A favorirli, ma solo per poco, il fatto che le ragazzine per più di un mese non hanno raccontato quello che era successo. Ma a giugno la madre di una di loro si è insospettita per l’atteggiamento della figlia, ha ipotizzato che potesse essere collegato ai suoi contatti su Facebook e, dopo aver trovato i primi riscontri a quanto accaduto, l’ha convinta a confidarsi.
La verità, la ricostruzione di una vicenda sconvolgente, è emersa poco a poco, con audizioni protette, l’assistenza di psicologi e riconoscimenti fotografici dai carabinieri della compagnia Montesacro e della stazione Tor Sapienza. Un’indagine che non ha avuto il conforto del dna perché era ormai passato troppo tempo dalle violenze, né di un referto medico. Seferovic e Halilovic sono comunque a Regina Coeli, raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Costantino De Robbio.
«Siamo arrivate in autobus sulla Collatina — è la versione della prima ragazza, che come l’amica abita sempre alla periferia est della Capitale —, loro ci aspettavano lì. Alessio mi ha detto: “Andiamo a fare una passeggiata qui dentro”». Il terreno incolto è protetto da un piccolo cancello. Per arrivarci bisogna percorrere un vicolo stretto. Il complice è rimasto all’ingresso, «l’altro ha tirato fuori un paio di manette, ci ha legate alla grata e ci ha minacciate di morte se non facevamo quello che voleva». «Un atto orribile, anche se la nostra risposta è arrivata in tempi brevi con un’indagine silenziosa», spiega il generale Antonio De Vita, comandante provinciale dell’Arma della Capitale, per il quale però «ora bisogna fare una riflessione profonda sull’utilizzo dei social». Per chi indaga i due rom hanno agito con evidente premeditazione (il luogo isolato, le manette, la presenza del complice). Nei prossimi giorni i ragazzi — che finora non hanno parlato — compariranno davanti al giudice per la convalida dell’arresto. E si muove anche il Comune: «Forniremo ogni contributo e supporto utile alle famiglie delle vittime di una violenza barbara», annuncia il delegato alla Sicurezza Marco Cardilli
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