Riscrivere le regole della stabilità

Franco Bruni

Varare la Commissione sulle banche a fine legislatura, fra litigi e polemiche elettorali, in un Parlamento diviso su questioni istituzionali di fondo, è stato prendere un rischio grave. Ancor più farlo alla scadenza del governatore della Banca d’Italia, alla quale la politica non ha saputo prepararsi per tempo.

 Ma a correr rischi a volte si guadagna. Se la presidenza saprà guidarla senza soffocarla, qualche utilità potrebbe uscirne. Essenziale è lavorare «non per regolare i conti del passato, ma per aiutare l’economia italiana del futuro», come dice l’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nella sua lettera a La Stampa e come lui stesso avrebbe dovuto tener sempre più presente.

La politica e il potere legislativo possono contribuire alla vigilanza sulla correttezza e la stabilità degli intermediari e dei mercati finanziari. Sono questioni tecnicamente complesse, soprattutto dopo che la globalizzazione finanziaria le ha rese radicalmente internazionali e in rapida evoluzione.

La complessità tecnica rende delicato il rapporto fra politica e burocrazia. Perché la prima tenga bene il suo ruolo deve fare con rigore i suoi compiti ma lasciare alle burocrazie autonomia e responsabilità.

 

Compito del legislativo, in gran parte del mondo avanzato, è essere sede regolare (al di là di commissioni d’inchiesta estemporanee) e competente dove i controllori della moneta e del credito vengono a render conto dei modi con cui stanno perseguendo, con indipendenza, gli obiettivi loro assegnati. L’organizzazione e l’attrezzatura del Parlamento italiano sono adeguate a questi fini? Andremo a eleggere un numero sufficiente di parlamentari con la competenza, dedizione, serietà e l’esperienza adatte per costituire commissioni e gruppi di lavoro con questo compito? Che sappiano porre le domande giuste, anticipando i problemi e aiutando i controllori del credito a individuarli?

 

La resa dei conti alla politica delle autorità creditizie è delicato anche per il contrasto che si può sviluppare fra la loro trasparenza e la stabilità finanziaria. Raccontare i guai delle banche alla politica può diffondere panico e aggravare i guai. Ma l’esperienza internazionale e le riflessioni di chi ha studiato da tempo queste cose suggeriscono come superare anche questo problema. Si tratta di verificare ed eventualmente integrare e correggere quel che avviene in Italia.

 

Il rapporto fra politica e autorità monetarie e finanziarie può andare molto oltre. Il concetto stesso di stabilità finanziaria è oggi da definire meglio, in tutto il mondo. Una volta, per esempio, significava che nessuna banca dovesse mai «fallire», che cambi, tassi e borse dovessero variare solo molto gradualmente. Oggi non è più così. Vanno ridefiniti gli stessi obiettivi delle autorità di controllo. Nonostante la difficoltà tecnica, questo è compito della politica. Anche il Parlamento italiano può contribuire: basta che sappia articolare il suo lavoro con quello del governo e, anche per suo tramite, partecipare alle sedi europee e internazionali dove solamente ha senso prendere decisioni in proposito. Non sono materie dove funziona la democrazia diretta e la politica chilometro-zero.

 

Il Parlamento europeo, discutendo con la Bce sul trattamento delle sofferenze bancarie, ha appena incontrato un’atra questione: fino a che punto chi vigila sulle banche può e deve esimersi dal dettare loro regole? Non è facile rispondere: è vero che le regole le fissa la politica ma chi ne vigila l’applicazione non può esimersi da aggiungere dettagli che il legislatore non riesce neanche a immaginare. Questa zona grigia fra regolamentazione e vigilanza va affrontata con impegno e senza ricerca di polemiche appariscenti.

 

E così via. Basti pensare che, con l’euro e l’unione bancaria europea, il ruolo di Banca d’Italia è mutato radicalmente. Riconsiderarne governance e organizzazione non è peccato di lesa maestà, anzi. Ma va fatto col dovuto anticipo, con cautela, competenza, concordia istituzionale e concertazione europea.

LA STAMPA

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