Pensioni, l’ultima carta dei sindacati. Congelare l’età per 30mila persone
Roma, 13 novembre 2017 – Salvare 25-30 mila lavoratori l’anno dalla tagliola dell’aumento dell’età pensionabile a 67 anni dal 2019. Con l’aggiunta di un salvagente per i giovani che eviti ai millennials la necessità di dover raggiungere per forza i 70 anni per lasciare il lavoro. È questo il punto di caduta dell’ultimo miglio di trattativa tra governo e sindacati sulla previdenza in programma oggi con due summit, uno tecnico la mattina e uno politico nel pomeriggio. E, più che sulle specifiche misure del pacchetto, sarà sul possibile risultato in termini di effetti che si concentrerà il verdetto dei vertici di Cgil, Cisl e Uil e, dunque, l’eventuale, ma difficile, accordo o semi-accordo che sia. Con il sindacato di corso d’Italia che, però, rimane pronto anche allo sciopero se l’intesa dovesse saltare.
In testa alla lista di questo pacchetto di interventi, l’estensione dell’Ape social al 2019: il che significa che anche i nati nel 1956, se rientranti nelle categorie salvaguardate (disoccupati, lavoratori che assistono disabili, invalidi gravi e lavoratori che svolgono attività gravose, rientranti anche nelle categorie aggiunte e non solo nelle 11 originarie), potranno andare via a 63 anni nel 2019, con l’anticipo gratuito di 3 anni e 7 mesi. Per coloro che sono impiegati in attività gravose, però, verrebbe bloccato fino al 2026 comunque l’innalzamento dell’età collegato all’aspettativa di vita a 66 anni e 7 mesi: ma questo avrebbe effetto pratico dal 2020, perché nel 2019 sarebbe possibile uscire addirittura prima con l’Ape social.
Le categorie dei lavori gravosi sono innanzitutto le 15 indicate dallo stesso governo: operai edili, autisti di gru e di macchine per l’edilizia, conciatori, macchinisti e personale viaggiante, autisti di mezzi pesanti e camion, infermiere e ostetriche ospedaliere turniste, badanti, maestre d’asilo, facchini, personale addetto ai servizi di pulizia, operatori ecologici. Più: i marittimi, i lavoratori siderurgici, gli operai agricoli, i pescatori. Ma il sindacato insiste, senza molte speranze, anche per qualche altro gruppo: postini, vigili del fuoco, polizia locale.
Per centrare l’obiettivo dei 25-30 mila lavoratori salvati dallo scatto dell’età, però, il governo potrebbe e dovrebbe accettare anche l’allentamento dei requisiti per rientrare nella categoria: avere almeno 30 anni di contributi e non 36 come è oggi per l’Ape e aver svolto mansioni gravose per sette anni negli ultimi 10 e non sei negli ultimi 7. Un altro punto in gioco è il meccanismo sulla base del quale si adegua l’età pensionabile all’aspettativa di vita, che il governo ha affermato di essere disposto a «modificare e migliorare», senza toccare il principio dell’automatismo e la sostenibilità finanziaria. Ma questo dal 2021. Appare invece difficile l’applicazione immediata dal 2019 con un incremento di 4 e non 5 mesi: fino a 66 anni e 11 mesi e non a 67.
Altre misure riguarderebbero la previdenza integrativa: equiparazione tra pubblici e privati e nuova tornata di sei mesi di silenzio-assenso. Quanto ai giovani, se passa l’ipotesi in ballo, si prevede che coloro che sono interamente nel sistema contributivo e hanno avuto carriere discontinue, in futuro, potrebbero andare in pensione con almeno 20 anni di contributi, a condizione che abbiano maturato un trattamento pari a 1,2 volte l’assegno sociale (pari oggi a 448 euro) invece dell’attuale 1,5. Il che, tradotto, significa che potrebbero andare in pensione 4 anni prima anche con una pensione di 538 euro attuali invece di dover per forza arrivare a 672 euro, pena dover attendere i 70 anni e passa.