Antica come l’uomo
È un sentimento antico come l’uomo. Forse si svegliò al primo tramonto del sole, la prima volta che le tenebre calarono. Sarebbe rispuntato mai il sole? Nella lunga storia dell’uomo che seguì, la speranza di rivedere la luce si accompagnò al primario spavento. Ed è rimasta nel fondo dell’anima umana l’antica sorella della paura, la speranza, ultima dea ad abbandonare gli uomini. Attraverso quali timori cresce il coraggio di inoltrarsi nel futuro così pieno di incognite? Per primo ricordo il terrore di perdere la mano di mia madre, nel dedalo delle vie in città, da bambino. Poi l’ingresso a scuola nel grande distacco dalla famiglia. Ed ecco l’altra paura, quella degli esami a scuola e, più ancora temibile, l’esame del confronto con i coetanei.
La scoperta che gli altri sono molto spesso l’inferno, come scrive Sartre. E di paura in paura, siamo alla prima volta che l’amore ci cattura. Sarà sì? E se non lo sarà non conviene tacere per paura del no? «Esprimersi e morire o rimanere inespressi e immortali», questa verità così cara a Pasolini connota oggi nel bullismo è uno dei timori più diffusi, quello di essere un perdente, di non apparire, di non essere guardati, di non suscitare emulazione. La paura di non essere nel campionario di quelli che contano è l’antico male proustiano dello snobismo oggi convertitosi nella festa del narcisismo. Quale la terapia di questo male così antico? L’ho scoperto forse tardi, ma l’ho scoperto, scrivendo nel mio ultimo romanzo di Lazzaro che non vuole risorgere, vincendo la paura delle paure, quella della morte. Saper quindi trasformare le paure in desideri, cercare di scavare nell’humus che le nutre per capovolgere lo sguardo nel sentire il piacere di abbandonarsi al vuoto.
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