I democratici e la sinistra
di EUGENIO SCALFARI
Se dobbiamo dare un giudizio su quanto è avvenuto nella direzione del Pd convocata dal segretario di quel partito, mi avvarrò per cominciare di un sintetico scritto di de Maistre che nel suo libro Mélanges, considerato un capolavoro da Baudelaire, dice: «La ragione non genera che dispute, mentre l’uomo per comportarsi bene nel mondo non ha bisogno di problemi bensì di ferme credenze».
Applico questa massima a quanto è accaduto nella direzione del Pd: il discorso di Renzi l’ha seguita e le sue «ferme credenze» sono state queste.
1. Nella situazione attuale occorre che tutta la sinistra sia unita e chi è uscito dal partito rientri.
2. Non parliamo di quanto è accaduto negli anni precedenti.
Allora il partito era unito e ciascuno democraticamente esponeva le sue opinioni e i suoi dissensi; la maggioranza sosteneva il presidente del Consiglio e capo del partito e la minoranza esercitava un compito importante e utile, del quale ho sempre tenuto conto nei limiti del possibile.
3. Se in un momento difficile i dirigenti ritornano, compiranno un atto molto utile non solo per il partito ma per l’Italia e anche perfino per l’Europa.
4. Dal loro rientro in poi discuteremo insieme la linea futura, la campagna elettorale che condurremo nei prossimi mesi, quello che nel frattempo faremo e diremo.
5. Non ci chiedano però l’abiura rispetto a quello che abbiamo fatto finora. Avremo pur compiuto qualche errore perché la perfezione non esiste nel mondo, ma sono stati errori marginali. Comunque d’ora in avanti discuteremo la linea e l’attueremo insieme.
La notizia che fuori discorso Renzi ha dato è una sua dimostrazione di buona fede e di forte desiderio che il rientro dei dissidenti avvenga: è stato incaricato Piero Fassino di trattare con loro le modalità del rientro e il merito dei temi che saranno discussi e sui quali i rientrati avranno il loro peso indipendentemente dal loro numero. Fassino è una personalità primaria: a suo tempo fu segretario del partito che allora si chiamava Ds, democratici di sinistra; poi fu un ottimo sindaco di Torino e ora è una delle personalità più attive del Pd. Affidare a lui la trattativa coi dissidenti è il segnale più evidente della serietà del tentativo e delle garanzie che sono previste.
Accetteranno? Capiscono l’importanza d’un partito che a quel punto andrebbe da Bersani a Franceschini, da Pisapia a Minniti, da D’Alema a Orlando? E tengono conto dell’appello di Veltroni alla riunificazione? Walter è il padre del Pd e ancora nelle ultime ore ha fatto un pubblico appello all’unità. Se c’è una voce che merita d’essere ascoltata è la sua. È pessimista che il suo appello sia accolto ed è anche critico verso certi comportamenti renziani, ma conviene sul fatto che il partito debba essere di nuovo unito e riscrivere tutta la carta di rifondazione d’una sinistra moderna e antipopulista (perché è il populismo il vero nemico in Italia e in Europa).
Voglio ora discutere un punto sul quale l’errore della dissidenza di sinistra si manifestò pubblicamente: il referendum costituzionale che mirava a costruire un assetto sostanzialmente monocamerale. L’affluenza fu altissima e la votazione dei No fu del 60 per cento di fronte al 40 dei Sì. I dissidenti democratici, che ancora non erano usciti dal partito, votarono No o si astennero dando pubblica notizia della loro astensione.
Ho ricordato varie volte questo aspetto della questione: il grosso dei No fu votato dal populismo ispirato dai grillini, dalla Lega di Salvini e dai Fratelli d’Italia. Mi chiedo: come è possibile che la sinistra-sinistra non sapesse che tutti i Paesi europei sono monocamerali? E perché l’Italia ha rifiutato quel sistema, tanto più che l’intero mondo occidentale sta attraversando un’immensa crisi economica e sociale e anche politica che rende il monocameralismo assolutamente necessario in una situazione dove le decisioni da parte del governo e del Parlamento debbono essere realizzate con la massima velocità?
Gli uomini democratici debbono ricostruire la sinistra. Stiamo andando incontro all’ingovernabilità. Le alleanze saranno indispensabili dalla sinistra al centro. E voi, dissidenti, volete che il Pd non potendo avere il vostro appoggio concentri con scarso successo la sua ricerca di sostegno al centro, oppure capite che una sinistra forte e compatta può ottenere dal centro ulteriori appoggi opportuni ma non indispensabili?
Mi sembra assolutamente elementare quel poco che qui ho scritto, come sono altrettanto consapevole dei difetti caratteriali di Renzi, che in questo caso sembra però averli superati. L’appello di Veltroni e l’incarico a Fassino vi sembrano poca cosa? Riflettete e poi decidete. Guardate a Cuperlo: rappresenta esattamente quello che dovete fare nella storia della democrazia italiana.
Debbo ora fare un’ultima osservazione critica. Mi dispiace molto, anzi moltissimo perché riguarda due persone con le quali ho da tempo rapporti di grande amicizia.
Si tratta del presidente del Senato, Grasso, e della presidente della Camera, Boldrini. Grasso si sta proponendo come il nuovo leader della sinistra-sinistra; Laura Boldrini è sulla medesima posizione: non capisco bene come risolveranno il problema di presiedere in due un partito per ora fatto di schegge che unite insieme arrivano a stento a superare la soglia prevista per l’ingresso nelle Camere. Ma la mia osservazione riguarda un altro punto della questione: i due presidenti delle Camere sono ora impegnati in una delicatissima azione politica e si oppongono entrambi alla riunificazione che si può fare soltanto a condizione dell’abiura da parte dell’attuale segretario del Pd.
La questione che li riguarda è però che essi resteranno per altri sei mesi se non anche di più presidenti delle Camere. Non sentono che un presidente del Parlamento non può e non deve spendere gran parte del suo tempo diventando leader d’un partito, grande o piccolo che sia? E si preoccupano di sapere quale sia il giudizio che di questa loro situazione dà l’opinione pubblica?
Personalmente entrai in Parlamento quarant’anni fa e naturalmente mi dimisi dal giornale che dirigevo ma ho sempre dichiarato, quando si votava su una qualunque questione, che io non mi sarei conformato al vincolo di mandato e avrei votato solo secondo coscienza come il mio partito o diversamente da esso. Se fossi parlamentare in questa situazione mi alzerei all’inizio di ogni seduta dichiarando di uscire dall’aula per non rientrarvi fino al giorno dopo perché la presidenza potrebbe essere indotta a comportamenti dettati dalla sua leadership di un partito.
La verità è che se vogliono far politica in prima persona debbono lasciare le cariche che ora stanno ricoprendo: chi presiede un’assemblea parlamentare deve essere assolutamente neutrale. Loro pensano di esserlo ed è una buona intenzione ma se ci fosse un contrasto politico non resisterebbero. Perciò prima si dimettono e meglio è.
REP.IT