La battaglia delle tasse

alessandro barbera
roma
 

Mark Twain diceva che per capire la razza umana bisognerebbe osservarla in tempo di elezioni. Non è ancora chiaro quando voteremo, eppure la campagna elettorale è iniziata da un pezzo. Fioccano le promesse, abbondano i proclami, la propaganda prende il sopravvento sul buon senso. Nella visita di accreditamento a Washington Luigi Di Maio ha abbozzato una manovra choc per abbassare le tasse, tagliare il costo del lavoro, aumentare gli investimenti pubblici. Se a questo aggiungiamo il costosissimo reddito di cittadinanza, il programma dei Cinque Stelle vale decine di miliardi di nuove spese. A quasi vent’anni dall’impegno concreto di meno tasse per tutti, Silvio Berlusconi promette il raddoppio delle pensioni minime, l’abolizione di ogni tassa sulla casa, sulle donazioni, dell’imposta di successione e del bollo auto: tutti impegni incompatibili con il terzo debito del mondo. Anche Matteo Renzi fa la sua parte nel rivangare gli impegni mancati: dopo aver garantito il taglio dell’Irpef nel 2018, ora dice che lo realizzerà nella prossima legislatura. L’altro Matteo – Salvini – propone una flat tax al 15 per cento. Ma con quale credibilità senza un piano di riduzione delle spese?

 La politica ha il diritto di vendere sogni, l’informazione il dovere di mettere in guardia da essi. L’economia italiana cresce a ritmi che non si vedevano da un lustro, e per questo Standard and Poor’s ha alzato il rating sovrano dell’Italia. Resta il fatto che buona parte di quella crescita la si deve a tre anni di politica monetaria ultraespansiva e ai tassi zero di Mario Draghi. A gennaio il piano straordinario di acquisto di titoli pubblici della Banca centrale europea si dimezzerà (da sessanta a trenta miliardi al mese) e con esso verranno meno gli enormi risparmi sugli interessi sul debito.

Il parlamento sta discutendo una Finanziaria che accumula più deficit di quanto concordato con Bruxelles, e questo significa che il primo atto del nuovo governo (o l’ultimo del vecchio) sarà probabilmente una manovra correttiva per qualche miliardo. Renzi è convinto di poter piegare le resistenze della Commissione «tornando a Maastricht», ovvero con un deficit vicino al tre per cento del Pil. Peccato che l’impegno per il 2018 ammonti alla metà.

 

 

LE PROPOSTE DEI PARTITI

FORZA ITALIA

Cavalli di battaglia di Berlusconi flat tax e abolizione del bollo sull’auto

ROBERTO GIOVANNINI

È ancora prestissimo per poter parlare di un vero e proprio programma elettorale per Forza Italia o per la coalizione di centrodestra. Ma non c’è dubbio: ancora una volta il caposaldo della campagna di Silvio Berlusconi e Forza Italia saranno le tasse. Tre sono le proposte principali allo studio: la flat tax, ovvero l’imposta sul reddito con aliquota unica, l’abolizione della tassa di successione, l’eliminazione del bollo sulla «prima auto» posseduta.

Il cavallo di battaglia è chiaramente la flat tax, linea sposata anche dalla Lega. L’aliquota unica, eliminando gli scaglioni crescenti, per definizione riduce fortemente la progressività favorendo i redditi più alti, che risparmieranno di più: nello schema di Forza Italia fattore di parziale riequilibrio a favore dei più poveri è l’innalzamento a 12.000 euro della «no tax area» esente da Irpef. Il vantaggio atteso (a parte gli effetti su consumi e crescita) è l’emersione del nero e del sommerso, che contribuirà a spingere il gettito.

L’intenzione è quella di arrivare gradualmente a fine legislatura a una aliquota vicina al 20%. Ma sin dai primi cento giorni si comincerà a tagliare aliquote e scaglioni. Le risorse per coprire la riforma verranno dalla riduzione della spesa per interessi sul debito, dalla spending review, ma soprattutto dall’eliminazione delle agevolazioni fiscali (le tax expenditures, come le detrazioni per i figli o per i mutui e le esenzioni Iva).

Sul fronte previdenziale, Berlusconi ha promesso una pensione minima di 1000 euro su 13 mensilità, oltre all’estensione degli assegni pensionistici a mamme e casalinghe. Modifiche in vista anche sui requisiti di pensionamento, da definire. Per chi ha redditi bassi, sotto la soglia dei 12.000 euro (di più per le famiglie), ci sarà una «imposta negativa», un sussidio per raggiungere un reddito minimo definito «di dignità».

 

PARTITO DEMOCRATICO

Renzi punta a cambiare l’Irpef lasciando solo tre aliquote

ALESSANDRO DI MATTEO

Meno fiscal compact, meno tasse: sono questi i pilastri del programma economico con il quale il Pd si presenterà alle prossime elezioni. Matteo Renzi ha cominciato da mesi a tracciare le linee-guida della proposta del partito e la filosofia è quella riassunta dallo slogan «Back to Maastricht», ovvero rimettere in discussione il vincolo di bilancio Ue siglato nel 2012, che lega molto le mani ai governi, e tornare ai parametri del trattato di Maastricht, decisamente più generosi.

In termini concreti, si tratta di far risalire il deficit al 2,9% del Pil, «un’operazione che libererebbe dai 30 ai 50 miliardi». Soldi da usare innanzitutto per ridurre le tasse, secondo Renzi. In primavera l’ex premier aveva parlato di una riforma dell’Irpef che riducesse le aliquote a tre, contro le cinque attualmente in vigore.

Il fatto è che il tema non è apprezzato da tutti nel partito, e tantomeno nel resto del centrosinistra con il quale in questi giorni il Pd sta provando a ricucire un accordo. In un documento dell’area Orlando si avverte: «Una riduzione delle tasse per tutti sarebbe un errore, come lo è stato l’eliminazione dell’imposta sulla prima casa anche per i più ricchi».

Su questo il leader Pd va avanti, ancora lunedì scorso in direzione ha affermato che in campagna elettorale «ci saranno tre proposte in campo: una flat tax a destra, una misura di assistenzialismo a sinistra, e la nostra proposta di riduzione delle tasse che deve partire dall’Irpef». Rispetto a qualche mese fa, però, Renzi potrebbe andare incontro ad alcune delle critiche e proporre un taglio delle tasse solo «per chi crea lavoro, per le famiglie e per chi ha di meno», come recita il documento approvato alla conferenza programmatica. Allo studio anche misure fiscali a favore di «giovani e donne».

 

MOVIMENTO 5 STELLE

I grillini guardano al modello Trump. Fare deficit, tagliando le imposte

ILARIO LOMBARDO

Non è che di fisco il M5S se ne fosse occupato granché. Anzi, il tema ha latitato per anni nel programma grillino. Ora, invece, Luigi Di Maio ne ha capito l’importanza in termini elettorali e, in vista della corsa per Palazzo Chigi, ne ha fatto il perno della sua offerta politica. Il candidato premier del M5S guarda alla Trumpnomics: da Washington ha detto di avere a modello la ricetta del tycoon. Due i pilastri: fare deficit e taglio delle tasse. Uno conseguente all’altro.

Agli esperti del M5S il compito di declinare quella che per ora è un’ambizione. Di Maio ha detto di non avere ancora percentuali in mente (tipo la flat tax di Matteo Salvini), ma chi si sta dedicando al dossier lavora su alcuni precisi binari. L’idea è di semplificare le aliquote Irpef per aiutare i redditi più bassi e il ceto medio. Le alternative potrebbe essere diminuire gli scaglioni (facendoli passare da cinque a tre) oppure tagliare quelli più bassi. Da questo punto di vista le somiglianze con Trump sarebbero più che altro di forma, visto che il presidente punta al taglio universale delle tasse, anche per i contribuenti ricchi. Ma è sulle imprese che il M5S intende importare la riforma fiscale di Trump, su cui però gli stessi repubblicani lo stanno contrastando al Congresso. Resterebbero le differenze tra Usa e Italia. Perché l’americano vuole abbattere (dal 35% al 15%) l’imposta sugli utili delle imprese, mentre i 5 Stelle hanno in mente di intervenire su altre voci. Per esempio puntando alla deducibilità delle tasse locali. In prospettiva, però, l’obiettivo resta quello di sempre: sgravare le imprese il più possibile dall’Irap, imposta regionale sulle attività produttive, dando precedenza magari alle start up e a chi produce innovazione.

LA STAMPA

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