Tallio, trovate tracce fra le erbe della tisana. Caccia all’avvelenatore

Non era nella vecchia casa di campagna di Varmo, in provincia di Udine. E neppure nella villa di famiglia in via Fiume a Nova Milanese. O almeno, lì tracce di veleno non ne sono ancora state trovate. Il tallio, il «metallo killer» che ai primi di ottobre ha ucciso Giovanni Battista Del Zotto (94 anni), la moglie Gioia Maria Pittana (91) e la figlia Patrizia (63), era nascosto tra le erbe essiccate e sminuzzate di una miscela usata per le tisane e sequestrata dai carabinieri all’interno di una terrina. Lo hanno confermato le analisi dell’Istituto zooprofilattico di Torino dove gli investigatori hanno inviato più di 70 campioni prelevati in questi mesi per risolvere il rompicapo che ha portato a tre morti e altri cinque intossicati gravi. La sostanza non è stata trovata nell’abitazione dei Del Zotto, dove vive anche Domenico, 55 anni, il solo a non essere rimasto intossicato insieme alla moglie Cristina Palma, 56 anni. Ma nella casa dei suoceri Alessio Palma, 83 anni, e Maria Lina Pedon di 81.

Loro abitano a un chilometro e mezzo di distanza da via Fiume 12, in una villetta al civico 7 di via Padova, sempre a Nova Milanese, a una ventina di chilometri da Milano. I due anziani erano stati ricoverati lo scorso 11 novembre dopo che si erano manifestati i sintomi da intossicazione. Due nuclei familiari distinti, due abitazioni diverse, e gli stessi elevati valori di metallo nell’organismo. In comune il rapporto di parentela e una frequentazione tra le due famiglie, anche se non così assidua da pranzare o cenare spesso insieme. Di certo, questa era stata la convinzione degli investigatori fin dall’inizio delle indagini, il tallio doveva essere stato assunto attraverso il cibo. Cibo «contaminato», anche se all’inizio le indagini coordinate dal pm di Monza Vincenzo Niccolini, avevano guardato soprattutto a un evento accidentale. Al fatto che la presenza di tallio – che è un metallo difficile da trovare in natura, ma facilmente reperibile in sali anche sul web e a un costo esiguo – fosse legata a un errore nella preparazione di qualche cibo.

Si era pensato alle patate mangiate nella casa di campagna di Varmo dove erano stati tutti e sei i primi contaminati e ad un vecchio topicida. Poi era emersa la pista «fantasiosa» della presenza negli escrementi dei piccioni. Infine, con il ricovero dei coniugi Palma, le indagini si erano concentrate su Nova Milanese e sui caffé bevuti insieme. Ora la prima certezza nell’inchiesta che «ufficialmente» continua a essere aperta per omicidio colposo. La verità è che ormai da settimane i carabinieri della compagnia di Desio e del gruppo di Monza stanno battendo altre strade. Il tallio non vola, e quindi una mano ancora sconosciuta deve avere mischiato la sostanza con il cibo. Si cerca l’avvelenatore. E anche eventuali complici. Gli investigatori sono stretti in un riserbo assoluto, segno che siamo in una fase decisiva.

Ma chi poteva avvelenare i Del Zotto? Forse l’obiettivo del killer non era quello di colpire l’intera famiglia ma solo l’elemento più «fragile», quella Patrizia Del Zotto fin dalla nascita gravemente allergica ai metalli. Questo spiegherebbe la scelta di una sostanza inusuale e poco conosciuta, ma dagli effetti devastanti sull’organismo. Bastano infatti pochi microgrammi di tallio per causare la morte. E nel corpo di Patrizia i valori erano quasi 200 volte oltre la soglia di tolleranza. I genitori avevano altre patologie che avrebbero reso il loro corpo ancora più sensibile al veleno. Ma perché anche i coniugi Palma sono stati intossicati? Forse si è trattato di una sorta di «depistaggio». L’ennesimo mistero in un giallo ancora senza fine.

CORRIERE.IT

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