Una Brexit senza Brexit. Persone, leggi e soldi: fuori (ma non del tutto)
«Una capitolazione» commenta affranto Nigel Farage. E non potrebbe essere diversa l’analisi di mister Brexit, l’uomo all’origine delle pressioni che due anni fa spinsero l’ex premier David Cameron a indire il referendum.
La soft Brexit, l’uscita morbida che Theresa May porta a casa, non può che deludere i duri e puri nemici di Bruxelles ma salva la premier dallo sfratto da Downing Street e l’Ue dalla prospettiva di dover trattare con un premier più intransigente e anti europeo di lei, che avrebbe potuto far saltare il tavolo delle trattative (magari chiudendo la cassa senza pagare il conto a Bruxelles).
Eppure i termini dell’accordo di massima con i quali si è chiusa la prima parte della saga del divorzio rischiano di rinfocolare l’ira dei paladini della Brexit invece che sopirla, mentre nel frattempo l’uscita dalla Ue lascia comunque l’amaro in bocca alla metà del Paese da sempre contrario. A guardar bene, l’intesa di massima annunciata con «soddisfazione» da May e Juncker è una sorta di Brexit senza Brexit, un’uscita senza uscita. Che non necessariamente chiuderà il braccio di ferro in corso nel Paese tra pro e contro. A cominciare dal conto del divorzio.
IL CONTO
La cifra sarà definita nel tempo, come diversi altri punti dell’intesa, ma Downing Street ha confermato che viaggia su una forbice che va dai 40 a i 45 miliardi di euro. In sostanza, Londra lascia l’Unione europea ma – come promesso – rispetta tutti gli impegni presi dall’Europa a 28. Insomma pagherà ancora per anni, almeno fino al 2022. E il bill – che May ha definito «equo» – include 10 miliardi di pensioni per i funzionari europei.
CITTADINI UE
Ma è sullo status dei cittadini europei, quello che più preoccupava l’Europa e sul quale in realtà le trattative erano meno complesse, che l’uscita senza uscita si rivela super-soft. I 3,2 milioni di europei che già risiedono nel Regno Unito (tra cui circa 600mila italiani) godranno degli stessi diritti dei britannici (così come gli inglesi che risiedono nel resto d’Europa). E continueranno ad acquisirli anche nei prossimi due anni «transitori». Diritti garantiti anche per i figli delle coppie europee in Gran Bretagna, sia che siano nati nel Regno Unito sia che non lo siano. E pure se non sono ancora nati, cioè se nasceranno dopo il 2019. Idem per i partner di «relazioni durature» o per i futuri partner. Nessun diritto perso con la Brexit. Anche perché, dall’altra parte, c’era la necessità di tutelare i cittadini britannici (1,2 milioni) che vivono in Europa e potranno contare sulle stesse tutele.
IRLANDA
È sulla frontiera tra le due parti di Irlanda che rischia invece di ripartire un braccio di ferro causato proprio da questa uscita senza uscita. L’intesa con la quale Londra e Bruxelles hanno concordato che non ci sarà hard border, una frontiera blindata con check point tra l’Ulster (l’Irlanda del Nord) e l’Eire (la Repubblica) prevede che il Nord dell’isola lasci comunque il mercato comune, seguendo le sorti del resto del Regno Unito, come hanno preteso gli alleati di governo di May, gli unionisti del Dup. Se Londra non potrà garantire questa condizione, sarà costretta ad osservare le regole del mercato unico. Tutto come adesso, insomma. Brexit senza Brexit. Salvo il fatto che bisognerà capire come una eventuale frontiera senza controlli potrà garantire che una parte dell’isola rimanga fuori dal mercato unico mentre il resto dell’isola resterà dentro. Scozia, Galles e pure Londra hanno già preteso che se in futuro ci saranno concessioni per l’Ulster sul mercato unico, anche loro chiederanno la propria parte.
CORTE EUROPEA
Infine la giurisdizione della Corte europea di giustizia. Gli europei in Gran Bretagna potranno ricorrervi fino a otto anni dopo la formalizzazione della Brexit. I giudici inglesi, nel frattempo, dovranno tenere conto della legislazione europea. Che per la maggior parte sarà assorbita nel «Great Repeal Bill». Uscire per tenere un piede in Europa.
IL GIORNALE