Bitcoin, debutto da record a Chicago Prezzi in rialzo, il sito va in tilt
Debutto da record per il primo derivato sul bitcoin, la criptovaluta che fa molto parlare di sè nelle ultime settimane. I futures (ovvero i contratti a termine) sui bitcoin sono aumentati di oltre il 20% dopo la loro prima volta sulla Cboe Futures Exchange di Chicago. In apertura il contratto sul bitcoin a un mese ha registrato un valore di 15.460 dollari, per poi scendere brevemente e risalire a un massimo di 18.700 dollari. Il traffico sul sito della Cboe, nelle prime fasi di scambio, è stato talmente inteso da rendere a tratti inaccessibile la piattaforma. I contratti futures nelle prime ore di scambio sono stati poco meno di 2.500, quasi tutti sulla scadenza del 17 gennaio. Solo una cinquantina di operazioni hanno riguardato le scadenza di febbraio e marzo. Il successo del lancio del primo future sostiene oggi la corsa del bitcoin, che è arrivato a superare il valore di 16.700 dollari.
Come funziona il future
Ma che cosa è un future? I future sono contratti in cui un compratore e un venditore si accordano sul valore futuro di una merce. Ne esistono per tutte le materie prime (dal grano al succo d’arancia) ma anche per qualunque strumento finanziario. Ci sono futures sull’andamento di Wall Street o su quello dell’indice di Piazza Affari. Comprando un future, quindi, posso scommettere sul rialzo della materia prima o dello strumento, se compro un contratto che prevede il rialzo del prezzo tra un mese o tre mesi. Ma posso anche guadagnare sulla svalutazione di quel bene, se acquisto un contratto che prevede una discesa del prezzo. Finora il prezzo del bitcoin, pur con alcune notevoli oscillazioni, è salito a rotta di collo. Difficile immaginare che possa andare così all’infinito. Il debutto sul mercato dei future, che di fatto apre il mercato del bitcoin anche ad eventuali forze “ribassiste” , potrebbe inserire nuove prospettive nella storia finanziaria della criptovaluta.
La bolla
Nelle ultime ore il governatore della Banca centrale della Nuova Zelanda ha parlato di «bolla». E con le bolle, ha concluso Grant Spencer, «non si sa mai come va a finire». Nel partito dei grandi scettici militano anche molte delle grandi case di brokeraggio di Wall Street, come Goldman Sachs e Jp Morgan che non permettono (tranne in alcuni casi selettivi) ai loro clienti di trattare i future sui bitcoin. Altre invece si regolano con delle restrizioni sui margini di garanzia che vengono sempre richiesti a chi fa questo tipo di operazioni. La grande finanza, insomma, oscilla tra l’interesse e il boicottaggio del fenomeno. Tyler e Cameron Winklevoss, due fratelli con un discreto patrimonio in bitcoin hanno tentato di creare un Etf (ovvero un fondo indice, che può seguire l’andamento di panieri di titoli, valute o materie prime) basato sulla criptovaluta, ma i regolatori federali hanno negato l’autorizzazione al prodotto.
Danni epocali?
C’è anche chi è convinto che, bolla o non bolla, il bitcoin non sia in grado (almeno per ora) di fare danni epocali ai portafogli e all’economia, anche se la febbre dovesse svanire da un momento all’altro. La capitalizzazione della criptovaluta ammonta oggi, più o meno, a 240 miliardi. Tanto o poco? Tutte le azioni quotate del mondo nei diversi listini oggi valgono più o meno 80 mila miliardi di dollari (stima di Goldman Sachs). Secondo Andrew Kenningham di Capital Economics, intervistato da Reuters, «se il prezzo del bitcoin dovesse andare a zero oggi stesso, le perdite sarebbero equivalenti ad un meno 0,6% per le azioni americane». Ipotizzando che la maggior parte degli investitori abbiano comprato ad un prezzo molto inferiore a quello attuale, i danni “reali” sarebbero ancora più contenuti, sempre secondo Kenningham. Vale la pena ricordare che il bitcoin, da inizio 2017 quando valeva poco meno di mille dollari, si è rivalutato del 1.500% e gran parte della corsa del prezzo è avvenuta nell’ultimo mese.
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