Le pagelle dopo un anno a Palazzo Chigi
POLITICA – Non è stato un esecutivo fotocopia. Su Visco il vero strappo con Renzi
di Federico Geremicca
Dopo un uragano, perfino un vento teso può somigliare ad una bonaccia. E che dopo i mille giorni di Matteo Renzi, i trecentosessantacinque di Paolo Gentiloni somiglino a quelli di certi governi «calma piatta» di antica memoria Dc, dunque ci sta. Ma si tratta di un’illusione ottica: perché tra scissioni, migrazioni, banche e fiducie in serie, nessuno può davvero considerare l’anno trascorso un tranquillo tran tran.
Eppure, se questa è la percezione, una spiegazione c’è: e chiama in causa la rotta scelta dal timoniere di un governo che alla nascita fu sprezzantemente definito «fotocopia». Ecco, altro che fotocopia: Paolo Gentiloni, infatti, ha avuto chiaro sin da subito che quanto meno avrebbe fotocopiato tanto meglio sarebbe stato. Ed è quel che ha fatto, cercando un qualche equilibrio – non facile e non scontato – con l’uomo che (certo non volentieri) lo aveva voluto a Palazzo Chigi al posto suo. Politicamente merita un’ampia sufficienza, conquistata appunto attraverso il rapporto non facile col suo predecessore e segretario. I galloni da premier li ha legittimati così, con alti e bassi – naturalmente – perché sull’ottovolante funziona così. Il punto più alto – almeno in quanto ad autonomia da Matteo Renzi – è senz’altro stato il no al siluramento di Ignazio Visco; quello più basso, la fiducia imposta per varare il Rosatellum. In mezzo, una navigazione attenta a non farsi mai cogliere dalle onde di traverso. La suggestione allora è quella del ritorno al comando di un Gran Democristiano. Chissà se ne è felice lui, che ha cominciato nell’estrema sinistra e che democristiano non lo è stato mai.
ESTERI- Risultati impensabili sugli sbarchi. Battagliero su Fincantieri con Macron
di Stefano Stefanini
All’estero, il governo Gentiloni ha fatto bene quanto poteva fare. La voce italiana a Bruxelles, come a Washington o a Pechino, è debole per debolezza interna: non si può essere forti fuori e fragili dentro. Con un governo a tempo, Paolo Gentiloni si è concentrato su tre priorità: binomio immigrazione-Libia; incognita presidenza americana; credibilità all’Ue.
La prima era la più critica. Avevamo appena riaperto l’ambasciata, con l’Isis presente a Sirte, e il Paese spaccato fra Al-Sarraj, legittimo ma debole, e Haftar, uomo forte in Cirenaica, più galassia tribale. Oggi siamo ben piantati a Tripoli e Haftar è appena stato in visita a Roma. Per l’Italia e per l’Europa, la Libia è strumentale all’immigrazione. La riduzione del 70% in sei mesi, con diplomazia libica, africana ed europea, è un capolavoro di Gentiloni e Minniti, pur dovendosi ora affrontare i gravi problemi umanitari nei campi. Con un Donald Trump incognito, poi ostico (cambiamenti climatici, Iran, ambasciata a Gerusalemme), Gentiloni ha tenuto in rotta il fondamentale rapporto con gli Usa aprendo rapidamente il dialogo e ospitando il presidente americano al G7 e a Roma, senza cedimenti nei principi. All’Ue l’Italia si è ricollocata costruttivamente. Gentiloni ha ottenuto sconti su immigrazione, banche, bilancio. Si è guadagnato rispetto per comprensibilità. Non è riuscito a fare terzetto con Berlino e Parigi. Con un Macron astro nascente, si è concentrato nel risolvere la vertenza Fincantieri-Stx. A Gentiloni è stata servita una mano debole: ha incassato il massimo.
ECONOMIA – Banche rinforzate e Industria 4.0. Ma la ripresa è più debole che in Ue
di Stefano Lepri
Aiuta l’attuale governo l’ormai innegabile ripresa economica. Sull’andamento del Pil tuttavia i governi hanno scarsa influenza; è più facile che facciano danni se sbagliano, meno facile che riescano ad accelerarne la crescita.
Un contributo positivo Gentiloni lo ha senz’altro dato rinsaldando le banche, con il fondo di 20 miliardi approvato appena in carica. Spendere per questo scopo è talvolta necessario; deve essere accompagnato da un completo ricambio del management e degli azionisti di controllo, che in Italia è avvenuto, in altri Paesi non sempre.
Un altro contributo viene dal programma di incentivi «Industria 4.0» continuato dal ministro Calenda. In parte ad esso si deve che le imprese siano tornate ad accrescere gli investimenti produttivi.
Hanno aiutato le deroghe («flessibilità») al Fiscal Compact europeo. In campagna elettorale tutti i partiti prometteranno di ottenerne di molto più ampie. Di sicuro non sarà così. Anzi con la ripresa diventerà indispensabile ridurre il debito pubblico se non si vogliono creare le condizioni per un’altra crisi come quella del 2011.
Di certo la nostra ripresa è più debole che negli altri Paesi europei; restano ostacoli pesanti. Se si accompagni ad un aumento delle disuguaglianze, come ha detto ieri Pierluigi Bersani, non esistono ancora dati per affermarlo. Forse si poteva fare di più contro il dualismo del mercato del lavoro, andando oltre i risultati buoni ma modesti del Jobs Act: in direzione di un contratto unico che consenta di superare il precariato.
DIRITTI – Bene su minori e biotestamento. Poco coraggio su Ius soli e omofobia
di Linda Laura Sabbadini
Luci, sì, ma purtroppo anche ombre sull’agenda dei diritti nel nostro Paese, portata avanti dal governo Gentiloni. Partiamo dalle luci. In primo luogo l’introduzione della misura contro la povertà era essenziale dopo il raddoppio della povertà assoluta che ha colpito in primis bambini e giovani. Bisognerà ampliarne gli stanziamenti, ma è un grande passo in avanti. Bene anche il biotestamento in dirittura d’arrivo, e diverse misure riguardanti i diritti dei minori: la tutela dei minori stranieri non accompagnati, il cyberbullismo, e speriamo i fondi per gli orfani di femminicidio, calendarizzati subito dopo la approvazione della legge di bilancio.
Bene l’introduzione del delitto di tortura e l’approvazione dell’emendamento per evitare la giustizia riparativa nei casi di stalking, recependo le richieste provenienti dalla ampia mobilitazione delle donne. Bene anche le prime misure in difesa del diritto alla maternità per le atlete. Purtroppo su tre questioni significative i risultati non ci sono: lo Ius soli, la legge sull’omofobia, il doppio cognome dei figli da parte dei partner. Lo Ius soli è calendarizzato subito dopo l’approvazione della legge di bilancio, ma non si poteva provare a fare di più, per esempio mettere la fiducia al momento giusto? La legge sull’omofobia giace immotivatamente. Perché? Quanto al doppio cognome, perché arrendersi di fronte alle resistenze in gran parte maschili? Il non aver operato esplicitamente per l’automatismo del doppio cognome, ha portato all’ennesimo rinvio di una questione simbolicamente e sostanzialmente importante per le donne
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