Relazioni industriali ed empatia
C’è un fil rouge che ci permette di collegare i casi di cui si discute in questi giorni ovvero Amazon, Ikea e persino Melegatti? Credo di sì e la novità riguarda l’ingresso del consumatore nell’arena delle relazioni industriali e delle crisi aziendali. Prendiamo queste ultime: come era già avvenuto per la pasta Rummo — il cui stabilimento era stato distrutto da un’alluvione — anche per il pandoro veronese i lavoratori hanno fatto appello alla solidarietà dei consumatori come ultima dea. Hanno tentato di utilizzare la visibilità ottenuta sui media per costruire una corsia preferenziale, una forma di marketing empatico che non risolve di per sé i nodi che stanno a monte ma che si segnala per il rapporto diretto tra operai e consumatori. Nel campo delle relazioni industriali questo tipo di dinamica segue percorsi più complessi ma i sindacati sembrano in qualche modo capaci di usarla. Prendiamo il primo sciopero indetto nel centro di smistamento Amazon di Piacenza, un’azione che si è giovata di un clima di solidarietà diffuso anche in settori che non tifano abitualmente per le lotte sindacali. Lo sciopero Amazon è stato vissuto come anticipazione delle future relazioni sindacali in contesti altamente automatizzati e quindi ancora una volta come ultima dea. A questo punto può passare anche in secondo piano la percentuale reale di adesione allo sciopero perché il sindacato non è rimasto isolato.
l sindacato al contrario ha conquistato simpatie dentro la community degli innovatori, che a sua volta rappresenta il nocciolo duro degli utilizzatori del servizio Amazon. Con maggiore evidenza questa riflessione si attaglia al caso Ikea, un gruppo che vuoi per l’attenzione alla diversity in azienda vuoi per un’immagine «democratica» (prezzi e non solo) abilmente costruita in passato è sempre stato considerato amico del consumatore. Nel momento in cui ha adottato politiche del personale molto drastiche — come nel caso del licenziamento di una lavoratrice madre di un disabile — il feeling con il consumatore si è inevitabilmente incrinato e ha dato agio al sindacato di sfruttare il varco coniando l’hashtag #pessimaIkea. Per avere una riprova di queste discontinuità vale la pena raccontare cosa è accaduto nei giorni scorsi all’Electrolux di Susegana in provincia di Treviso. L’Ikea negli ultimi anni con le sue commesse aveva reso possibile la saturazione produttiva della fabbrica e anzi la necessità di soddisfarle in tempi brevi aveva generato discussioni tra azienda e sindacato sulla gestione dei picchi di lavoro e degli straordinari. Adesso però la multinazionale svedese ha deciso di tradire la connazionale Electrolux e di affidare una maxi-commessa di 100 mila frigo da incasso all’americana Whirlpool. Sapete qual è stata la reazione degli operai e degli attivisti sindacali di Susegana? Minacciare, quantomeno a parole, di boicottare i punti vendita Ikea. Ancora una volta in situazione di emergenza è stato chiamato in causa il consumatore e il suo potere di condizionamento.
Il fenomeno è molto interessante e fa venire in mente le recenti dichiarazioni di Guido Barilla, che pur guidando una multinazionale ha lanciato il guanto di sfida: «Noi guardiamo ai consumatori non agli analisti finanziari». Il mercato quindi non è più quel protagonista senza volto, cinico e orientato solo al breve termine, ma prende le sembianze del consumatore della porta accanto e del suo tasso di infedeltà mai così alto in passato. Da qui (anche) la tendenza sindacale a farselo amico, a cercare di coinvolgerlo nelle crisi aziendali e nelle relazioni industriali. Dall’esterno viene solo da auspicare che qualcosa del genere possa accadere non solo nella manifattura ma nei servizi dove invece l’utente continua a contare meno di zero. Prendiamo la vexata quaestio degli scioperi del venerdì nel trasporto pubblico o anche delle agitazioni lobbistiche dei taxisti: il consumatore è disarmato e non può che subire. Per contare dovrebbe poter scegliere come normalmente gli capita davanti allo scaffale di un supermercato ma avrebbe bisogno che ci fosse più concorrenza e libertà, proprio quella che in vario modo i sindacati e i taxisti combattono. Ma perché ciò che vale per sanzionare l’Ikea non deve valere per l’Atac?
CORRIERE.IT