Diciassette anni di sprechi, metà dei soldi per il dissesto bloccati dalla burocrazia

davide lessi
torino
 

Burocrazia, contenziosi legali, fallimento delle aziende che dovevano fare i lavori, espropri rimasti in sospeso. E poi i mancati collaudi e gli interventi delle Soprintendenze. La lista delle cause è lunga. Ma l’effetto è uno solo: nell’Italia friabile, che conta il record europeo delle frane (610 mila su un totale continentale di 800 mila), tanti interventi contro il dissesto idrogeologico restano al palo. Fermi alla fase di progettazione o, peggio ancora, da iniziare. Con un paradosso: le risorse ci sarebbero. Anzi, sono già stanziate.

 A dirlo è l’ultimo «Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano» dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che sarà presentato questa mattina a Roma. Il dossier, arrivato alla tredicesima edizione, analizza il suolo e il territorio di 119 città italiane. Sorprende una cifra nell’anticipazione che La Stampa ha potuto visionare: ammonta a circa 1 miliardo e 476 milioni di euro il totale delle risorse stanziate tra il 1999 e il dicembre 2016. Servivano a realizzare 384 interventi «urgenti».

Ma di questa somma, circa la metà non è stata utilizzata nelle aree urbane oggetto della ricerca. Si tratta di quasi 780 milioni di euro disponibili a rendere più sicura la vita nei nostri Comuni e nelle nostre aree metropolitane.

 

Gli «imprevisti»

«Bisogna chiarire che la gran parte dei finanziamenti, più della metà, sono stati stanziati in attuazione del piano governativo del 2015 per le aree metropolitane. Un decreto che prevede interventi fino al 2020-21», chiarisce dall’Ispra Tommaso Marasciulo, autore con Enrico Maria Guarnieri del capitolo del rapporto riguardante il suolo e il territorio delle 119 città. Marasciulo non nega, però, i problemi di quella che definisce «la macchina burocratica italiana». E cita un caso in particolare: «Alcuni interventi di media e piccola intensità, per cui l’importo non è cospicuo, rimangono fermi perché, sforando il patto di stabilità, non possono essere pagati dagli enti locali».

 

Ma i limiti di spesa dei Comuni non sono l’unico elemento. L’altro, sottolineato da tanti operatori del settore, è l’iter procedurale degli appalti e della fase di progettazione. Fa discutere l’ultimo caso che riguarda l’Emilia-Romagna: la Regione, nel 2014, aveva finanziato 100 milioni di lavori «strutturali» per il rinforzo degli argini del fiume Secchia. Ecco, tre anni dopo, solo 30 milioni sono stati spesi in quel territorio che, come dimostrano gli allagamenti di due giorni fa, resta a forte rischio alluvione. «In realtà ci sono stati degli interventi legislativi per sveltire le procedure ma gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo», sottolinea ancora Marasciulo facendo riferimento ai rischi che le imprese vincitrici dell’appalto falliscano o che nascano dei contenziosi negli espropri.

 

I dati

Gli imprevisti, però, hanno un costo. Così conteggiato nel rapporto: il 28,5% delle risorse finanziate, circa 420 milioni, resta fermo alla fase di progettazione. E altri 360 milioni (il 24,5% del totale) corrispondono a interventi ancora da avviare o con dati che non sono stati comunicati al database dell’Ispra. Dei 384 interventi finanziati in 17 anni nei 119 Comuni analizzati, solo il 64,6% (pari a 248) sono stati ultimati, il 15,9% (61) è in esecuzione, mentre gli altri sono ancora da avviare. «C’è ancora un notevole numero di lavori non completati, nonostante siano passati molti anni dall’erogazione dei fondi messi a disposizione», concludono gli autori della ricerca Marasciulo e Guarnieri. È anche per questo che l’Italia resta un Paese fragile.

LA STAMPA

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