«I bambini? Che muoiano»: i rifiuti tossici vicino a una scuola di Livorno
FIRENZE — «Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale. Che muoiano, m’importa niente dei bambini che si sentano male. Io li scaricherei in mezzo di strada, i rifiuti». Se non ci fossero realmente gli alunni di una scuola con gli occhi arrossati e la gola che fa male per le esalazioni di quei rifiuti pericolosissimi della vicina discarica, ci sarebbe quasi da pensare a un orribile scherzo in vernacolo livornese.
E invece quelle parole pronunciate da uno degli arrestati e registrate dai carabinieri, mentre il suo interlocutore sorride divertito, non sono soltanto un oltraggio, ma resteranno per sempre il simbolo di questa maxi inchiesta della Dia su oltre 200 mila tonnellate di rifiuti tossici. Che, partita da Firenze e Livorno, è destinata ad allargarsi. Sei le persone arrestate, almeno una trentina gli indagati, 150 i carabinieri del nucleo forestale impegnati nel blitz e coordinati dal procuratore di Livorno, Ettore Squillace Greco.
Sarebbero decine e decine le aziende italiane che «ripulivano» i loro rifiuti tossici («c’è di tutto, tanto mercurio», si legge in un’altra intercettazione) in un paio di aziende toscane che, con trucchi amministrativi, raggiri e una sconcertante incapacità di controllo delle autorità competenti, riuscivano a smaltire sostanze altamente tossiche come se fossero normale spazzatura cambiando codici e documenti. Un metodo definito dal pubblico ministero Squillace Greco simile a quello usato dalla camorra nella Terra dei fuochi.
Agli arresti domiciliari per traffico di rifiuti, associazione per delinquere e truffa aggravata, sono finiti imprenditori e gestori di impianti di riciclaggio di scarti altamente pericolosi. Sono Emiliano Lonzi, Stefano Fulceri, Marco Palandri, Anna Mancini, Stefano Lena e Alessandro Bertini. Sequestrate due aziende di Livorno attive nel settore del recupero e del trattamento dei rifiuti, la Lonzi Metalli srl e la Rari srl. Da qui, secondo l’accusa, i rifiuti sarebbero transitati in due discariche del Livornese gestite da due aziende a partecipazione pubblica, la Rea di Rosignano Marittimo e la Rimateria di Piombino.
Tra i rifiuti tossici che arrivavano in discarica come «ordinari e innocui», c’erano stracci imbevuti di sostanze tossiche, filtri per olio motore e toner. Nelle discariche entravano camion carichi ad altissimo rischio ambientale e per la salute pubblica e ne uscivano puliti, come se quei siti fossero l’esempio più virtuoso di ecologia. Il business superava i 26 milioni di euro con una truffa per la Regione Toscana di almeno 4 milioni. C’erano connivenze? I sospetti ci sono. Tanto che nelle richieste di custodia cautelare il pm sostiene che «uno dei meccanismi di autotutela attivati dall’associazione criminale è proprio quello che prevede sistematiche pressioni su soggetti legati alle istituzioni per indurli a captare notizie utili su eventuali indagini o comunque suggerimenti per eluderle». E adesso si cerca di capire bene chi siano questi personaggi così accreditati..
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