Maria Elena Boschi e banca Etruria, per il Pd un doloroso boomerang
A questo punto, conta relativamente se o quanto l’allora ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, abbia detto la verità sul caso di Banca Etruria. L’unico elemento certo è che la strategia del Pd sul sistema creditizio si sta trasformando ogni giorno di più in un doloroso boomerang; e a nemmeno tre mesi dalle elezioni. L’insistenza sulla creazione di una commissione parlamentare d’inchiesta doveva servire a mettere in mora Bankitalia e a certificare le ragioni del governo di Matteo Renzi. E i vertici delle istituzioni finanziarie erano stati chiamati a testimoniare come se dovessero passare sotto le forche caudine del partito di maggioranza.
Di fatto, invece, quello strumento che doveva inchiodare il sistema bancario sta diventando la «commissione Boschi». Le parole dette ieri dal presidente uscente della Consob, Giuseppe Vegas, hanno avuto effetti pesanti. Secondo la sua ricostruzione, l’allora ministra delle Riforme lo incontrò perché «era preoccupata per l’eventualità che l’istituto fosse incorporato dalla Popolare di Vicenza»: pur smentendo pressioni. Boschi si difende negando favoritismi verso il padre, vicepresidente di Banca Etruria.
Ma il coro delle opposizioni contro di lei, con richiesta di dimissioni immediate, fa capire che la vicenda dominerà di qui al voto a marzo. E attenzione: la commissione non ha ancora ascoltato né il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, né l’ex amministratore di Unicredit, Federico Ghizzoni, che finora è stato silente. Due incognite da brivido, perché ieri Boschi ha ribadito di averlo incontrato, «senza chiedere niente né fare pressioni».
A sottolineare quanto la vicenda possa rivelarsi scivolosa, colpisce la mancata difesa dell’attuale sottosegretaria da parte dei ministri. C’è solo un’ufficiosa solidarietà da Palazzo Chigi. Di fronte alle bordate del Movimento Cinque Stelle e della Lega, a proteggerla sono solo le persone più vicine a Renzi; e nemmeno tutte. È come se tra i dem ribollisse una miscela di imbarazzo e di preoccupazione per la piega che stanno prendendo le cose; e si confermasse il timore di essersi infilati in una polemica che, al di là delle responsabilità e delle strumentalizzazioni, farà perdere voti. Anche perché minaccia di investire lo stesso esecutivo.
Il premier Paolo Gentiloni non ha esitato a incrinare i rapporti con Renzi confermando il governatore di Bankitalia contro il parere del segretario del Pd; e oggi appare in testa agli indici di gradimento nel Paese. Eppure il caso Vegas offre alle opposizioni un ottimo pretesto per alzare il tiro su di lui. Alessandro Di Battista apre il fronte per conto dei Cinque Stelle, intimando a Gentiloni di «intervenire immediatamente. Ne va della credibilità del Paese, c’è un conflitto di interessi grande come una casa!». A ruota, attaccano FdI e Liberi e Uguali, la formazione del presidente del Senato, Pietro Grasso.
C’è da chiedersi quali saranno le prossime tappe di questa escalation polemica; e come si ripercuoterà sulla commissione guidata da Pier Ferdinando Casini e sul voto di marzo. La difesa della sottosegretaria lascia trasparire rabbia e esasperazione. «Non ho mai mentito al Parlamento», ripete Boschi. «Ho incontrato Vegas come ho incontrato altri rappresentanti istituzionali». Ma il boomerang continua a mulinare in maniera più minacciosa e accelerata che mai.
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