Sto con Ippocrate
Il biotestamento è legge. Si chiama legge sul «fine vita» in onore del politicamente corretto, quando in realtà regola la procedura di «inizio morte».
D’ora in poi ognuno di noi potrà decidere lasciando scritto e detto di che terapie non intende avvalersi in caso di necessità. È un argomento delicato e divisivo, perché un conto è parlarne in astratto, altro è trovarsi nelle condizioni di sofferenza e urgenza tali da dover decidere per noi o per i nostri cari che cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Se un giorno decidessi di compilare questo «testamento», mi piacerebbe poter scrivere: «Lascio ogni decisione nelle mani di medici bravi e fedeli al giuramento di Ippocrate». Giuramento che tra l’altro impegna i dottori a «esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento»; «perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza»;
«curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica»; «non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona»; «astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico». Più in sintesi, dirò a chi mi sarà vicino: ascolta bravi medici gli unici che sanno ciò che sta e che potrebbe accadere, non certo io e te che nella vita abbiamo fatto altro e comportati di conseguenza.
Provarle tutte sì, accanirsi mai, e questa è anche la posizione di Papa Francesco, che ha spiazzato i cattolici più ortodossi che vedono in questa legge l’anticamera dell’eutanasia. Preoccupazione legittima, ma sproporzionata rispetto al testo approvato. Che non obbliga nessuno a non procedere nelle terapie a oltranza, anche al di là di ogni ragionevole e scientifica speranza di sconfiggere il male o riportarlo entro parametri di vita dignitosa. Ognuno, insomma, resta padrone del destino proprio e di quello delle persone a lui affidate, tanto più quei cattolici che ritengono la vita, anche quella vegetativa, inviolabile a prescindere. Sono tanti li rispetto e ammiro il loro rigore ma non tutti. Ci sono anche quelli, per esempio, contrari alla legge sul divorzio, che però corrono in tribunale per dividersi al primo inciampo matrimoniale. Non facciamone quindi una guerra di religione. Perché così come in vita, anche di fronte alla morte non è vero che siamo tutti uguali.
IL GIORNALE