Una prova di forza rischiosa

Le commissioni d’inchiesta «vanno maneggiate con cura, evitando che siano solo cassa di risonanza di polemiche tra i partiti o all’interno di essi. La Commissione sulle banche sarebbe questo. Strumentalizzare questioni tanto delicate, che riguardano i risparmi degli italiani e che sono già all’attenzione della magistratura significa prepararsi a una campagna elettorale irresponsabile».

Questo giudizio — che condividiamo — è al di sopra di ogni sospetto, visto che è stato espresso prima che la Commissione fosse istituita dall’uomo che oggi la presiede, Pierferdinando Casini. E forse dovrà proprio a tale preveggenza se riuscirà a guidarla fino alla fine, imminente come quella della legislatura, senza ulteriori ed eccessivi danni alla credibilità delle istituzioni, già alquanto scossa da scambi di accuse e di allusioni tra banchieri, ministri, ex premier e autorità vigilanti.

I tempi stessi della nascita di questa Commissione, così stretti e così a ridosso della campagna elettorale, potevano far presagire il peggio: una ginnastica più finalizzata a mostrare i muscoli in vista del voto che a chiarire come sono effettivamente andate le cose. Ma ci sono due considerazioni ulteriori che avrebbero dovuto mettere sull’avviso. La prima è che il nostro Parlamento oggi non è in grado di svolgere una attività di inchiesta sul modello del Congresso degli Stati Uniti perché è diviso secondo linee di faziosa partigianeria politica.

Finché i parlamentari non verranno davvero eletti direttamente dal popolo, e dunque ad esso risponderanno, saranno sempre troppo dipendenti dal gruppo e dal leader che li ha nominati per potersi sollevare al di sopra dell’interesse di parte. La seconda è che nel caso delle crisi bancarie cercare un capro espiatorio cui imputare la responsabilità è gioco futile e pericoloso, perché esse sono state l’effetto di una più generale e formidabile crisi economica, che tra l’altro ha colpito i sistemi bancari di altri grandi Paesi europei anche più duramente del nostro, e dunque originano da cause che certo comprendono, ma vanno ben oltre, le responsabilità o le omissioni dei singoli.

Ci sono stati di sicuro casi evidenti di mala gestione o addirittura di vere e proprie truffe ai danni dei risparmiatori da parte di istituti di credito gestiti da sempre dai soliti noti, e in cui i risparmiatori venivano trasformati a loro rischio in investitori. Di conseguenza molti cittadini hanno perso soldi. Ma per le responsabilità penali non può che intervenire il potere giudiziario con i processi e, speriamo, con i risarcimenti. E ci sono stati evidenti casi di vigilanza debole, lenta, o inefficace: ma per cambiare le cose servono iniziative legislative e riforme degli organismi preposti, non una caccia al colpevole.

Per questo impostare i lavori della Commissione come il secondo tempo dell’attacco fallito al Governatore della Banca d’Italia è stato un errore commesso dal partito di maggioranza, che ha a sua volta aizzato l’opposizione a infischiarsene delle crisi bancarie per puntare solo a colpire il Pd attraverso Boschi. Capita spesso che chi va per suonare finisca per essere suonato. Ma la neutralità dei poteri pubblici (Parlamento, governo, Banca d’Italia, Consob) è un bene troppo prezioso per finire in un burrone alla musica di un piffero.

Accade così, nella migliore delle ipotesi, che il pubblico di spettatori, cui è stato promesso il clamoroso svelamento della Verità, rimanga alla fine deluso e stordito, confuso sull’esito stesso dello scontro. Un piccolo esempio: ieri il Governatore Visco ha detto che nel terzo incontro con Renzi questi gli chiese di Banca Etruria ma lui non rispose, perché «le questioni della Vigilanza sono riservate». Ma in un retroscena pubblicato ieri dalla Stampa Renzi diceva invece che «la seconda volta che ho visto Visco mi ha parlato lui di Banca Etruria».

Rimarremo col dubbio su chi ha parlato prima di che. Allo stesso modo sappiamo ora dei numerosi incontri dell’allora ministra Boschi, quasi un road show, perché da lei stessa ormai ammessi: se nell’interesse degli orafi di Arezzo, come ieri ha assicurato Visco, o nell’interesse del padre amministratore della banca, come proclamano i suoi avversari, rimarrà una materia che divide l’opinione pubblica e ormai influente solo a fini elettorali.

La Commissione si avvia a chiudere i battenti, insieme con la legislatura. Anch’essa, come tante altre prima di lei, avrà una relazione di minoranza e una di maggioranza, che diranno più o meno l’opposto. Su un punto almeno, però, le forze politiche potrebbero trovare un punto comune: gli evidenti difetti di comunicazione che ci sono stati tra i due vigilanti, Bankitalia e Consob, riconosciuti ieri dallo stesso Visco, e la generale lentezza di intervento del sistema. Speriamo che su questo punto si focalizzino sia maggioranza che opposizione, fornendo indicazioni utili per agire nella prossima legislatura. Sarebbe una prima risposta all’appello rivolto ieri da Mattarella: partiti, pensate all’Italia.

CORRIERE.IT

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