Il ritorno dei «generi anfibi» e le regole per gli eletti
Per i 5 Stelle, i parlamentari sono «portavoce», non rappresentanti, e gli iscritti hanno il diritto di formulare proposte di legge che, approvate con votazione in Rete, sono fatte proprie dagli eletti. Questi ultimi sono obbligati a votare la fiducia a sindaci, presidenti di regione e presidenti del Consiglio dei ministri espressione dei 5 Stelle e tenuti a recepire le proposte formulate dagli iscritti. Il mancato rispetto delle decisioni assunte dall’assemblea degli iscritti con le votazioni in Rete costituisce violazione grave ed è punita con sanzioni pecuniarie e con l’espulsione.
Queste regole statutarie e regolamentari, anche se rappresentano un passo indietro rispetto alle più radicali affermazioni del Garante del Movimento, ricordano il mandato imperativo e revocabile caldeggiato da Marx prima e da Lenin poi, e introdotto nella costituzione sovietica e delle «repubbliche popolari». Esse sollevano problemi di fattibilità e di legittimità, che conviene considerare. Innanzitutto, le proposte alle quali vincolare l’attività degli eletti sarebbero avanzate dagli iscritti al Movimento. Ma questi sono una piccola parte della base elettorale dei «portavoce»: perché discriminare gli altri, quelli che hanno riposto fiducia nei candidati proposti dal Movimento?
In secondo luogo, chi potrebbe decidere quando interrogare gli iscritti? La scelta sarebbe lasciata al caso, all’iniziativa di ciascun iscritto? Secondo quale criterio? Se molte fossero le richieste, gli iscritti non verrebbero sottoposti ad un fuoco di fila di votazioni, in numero tale da assorbire le loro energie quotidiane? In terzo luogo, la trasformazione del rappresentante in delegato o messo, con mandato limitato alle deliberazioni degli iscritti, non ne trasformerebbe la funzione, che è quella di rappresentare interessi generali, non gli interessi degli iscritti al Movimento che l’ha designato?
Infine, è costituzionalmente legittimo che il rappresentante diventi «portavoce»? La Costituzione dispone che la sovranità appartiene al popolo, ma aggiunge che questo la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione stessa. Tali forme sono quelle della democrazia indiretta, in cui il popolo è chiamato a scegliere propri rappresentanti. Ognuno di questi agisce per conto dell’intera nazione, ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Il Movimento 5Stelle non è l’ultimo ad essere incantato dalle sirene della democrazia diretta e a proporre una forma intermedia tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, torcendo la prima in modo da farla diventare funzionale alla seconda. Di questi «generi anfibi» si interessò, criticandoli, in un saggio del 1978, il nostro grande filosofo del diritto e della politica Norberto Bobbio. Egli li faceva risalire a Rousseau, per il quale la sovranità non può essere rappresentata e il popolo che vota propri rappresentanti è libero solo durante l’elezione, salvo ritornare schiavo il giorno dopo. Bobbio svolgeva in quel saggio una critica sia alla democrazia diretta, sia alle forme miste. Della prima diceva che, se per democrazia diretta s’intende alla lettera la partecipazione di tutti i cittadini a tutte le decisioni che li riguardano, la proposta è «materialmente impossibile», «insensata», «non auspicabile», perché il cittadino chiamato a partecipare dalla mattina alla sera è il cittadino totale, richiede una politicizzazione totale dell’uomo, non meno criticabile dello «Stato totale». Delle forme miste Bobbio diceva che introdurre il mandato limitato e revocabile voleva dire trasformare il fiduciario in delegato, impedirgli di servire la nazione, vincolandolo ad ascoltare categorie speciali di cittadini.
La riproposizione di queste forme di democrazia mista da parte del Movimento 5Stelle è tanto più singolare in quanto esse sono in contrasto con la debolezza della democrazia interna di quel Movimento: ad esempio, tre nuovi atti interni, statuto, codice etico e regolamento parlamentarie, sono stati calati dall’alto sugli iscritti il 30 dicembre 2017, insieme con i titolari degli organi (in particolare del Comitato di garanzia e del Collegio dei probiviri), senza che i partecipanti abbiano avuto modo di esprimersi. Dobbiamo pensare che il Movimento 5Stelle non venda agli italiani soltanto il sogno impossibile di una democrazia anfibia, a metà diretta, ma voglia suggerire anche per il governo del Paese quel misto di bonapartismo e di retorica democratica che vige al suo interno?
CORRIERE.IT