Il canone infiamma la sinistra L’altolà di Calenda a Renzi
A bolire il canone Rai? L’idea di Matteo Renzi, per ora affidata solo ai retroscena dei giornali, non è ancora stata formalizzata ma già fa litigare Pd e centrosinistra.
Il ministro Carlo Calenda è secco: «O si privatizza la Rai o è una presa in giro». Il sottosegretario con la delega alle Tlc, Antonello Giacomelli, pur rimbeccando Calenda, ridimensiona il tutto ad «indiscrezione». Le opposizioni bollano l’idea come «sparata elettoralistica»: «Non si capisce il senso di questa proposta», taglia corto il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani.
A sera, Matteo Renzi interviene per la prima volta ufficialmente sull’argomento e sembra circoscriverlo: «Si può garantire il servizio pubblico abbassando il costo per i cittadini: mi sembra giusto e doveroso», spiega, liquidando il resto come «proclami e polemiche di giornata». Ricorda: «Quando siamo arrivati al governo il canone Rai costava 113 euro, adesso ne costa 90: se pagano tutti, paghiamo meno». E rivendica il successo dell’operazione canone in bolletta, che ha consentito di recuperare la diffusissima evasione e di abbassare la tassa ai cittadini.
Il leader del Pd è a caccia di idee e di parole d’ordine per rilanciare la campagna elettorale, e ha rispolverato quello che è un suo antico pallino: sin dal 2011, il manifesto politico della Leopolda renziana parlava di mettere sul mercato pubblicitario (e successivamente privatizzare) i canali commerciali della Rai, Uno e Due in testa, e riservare il canone – ridotto – solo a quelli che hanno effettivamente una «valenza pubblica».
Ora Renzi rimette nel mirino una tassa invisa agli italiani, che da Palazzo Chigi ha subito cercato di ridimensionare, diminuendone l’importo in due successive Finanziarie. Ma stavolta, secondo le indiscrezioni riportate ieri da Repubblica, il passo sarebbe più drastico: arrivare ad una progressiva soppressione del canone, eliminando al contempo i tetti pubblicitari imposti alla Rai. E qui il messaggio sembra tutto politico: uno scossone a quelli che il forzista Romani definisce «l’equilibrio trovato nel mondo pubblicitario»: canone alla Rai, mercato pubblicitario ai privati, Mediaset in testa. Un modo per liberarsi dal marchio del Nazareno, che da sinistra gli viene costantemente rinfacciato. Ma le prime critiche gli arrivano dal suo stesso schieramento, e sono di diverso tenore: da una parte i liberali che, come Carlo Calenda, chiedono un passo in più con la privatizzazione della Rai; dall’altra i custodi dell’attuale «pax televisiva» come Giacomelli, che ricorda (anche a Renzi) che «questa è la legislatura della nuova concessione decennale a Rai e della firma del nuovo contratto di servizio». Giù le mani dalla Rai pubblica, come immediatamente reclama l’Usigrai, che insorge «in difesa dell’autonomia e del futuro dell’azienda». Nel centrodestra lo strappo renziano (e il suo recondito messaggio bellicoso) viene registrato con irritazione: «Proposta farsesca, prima inserisce il canone in bolletta poi finge di volerlo togliere», dice Maurizio Gasparri. Ma anche senza eccessivi patemi: «È campagna elettorale, non avrà mai la forza di farlo», chiosano in Forza Italia.
IL GIORNALE