Giro di vite a Napoli contro i pm superstar «Basta fughe di notizie»

Il procuratore di Napoli chiude le finestre. Niente più «spifferi» nell’ufficio giudiziario più grande d’Italia.

Niente più show a favore di telecamere e ipotesi di sentenze a mezzo stampa. Con una circolare di qualche giorno fa, ma in realtà con un modo di comportarsi che ha messo le cose in chiaro fin dal giorno del suo insediamento, Gianni Melillo vira verso un garantismo che non si era mai visto dalle parti del 41esimo parallelo vesuviano. Il capo dei pm ha infatti rigorosamente vietato la diffusione delle foto dei disgraziati di turno, incappati nelle maglie della giustizia, richiamando i magistrati alla «cura delle condizioni di efficace tutela delle dignità delle persone sottoposte ad indagini o comunque coinvolte in un procedimento penale». Un invito che «appare prosegue Melillo, ex procuratore aggiunto antimafia nel capoluogo campano ed ex capo di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando maggiormente meritevole di attenzione qualora la persona coinvolta versi in condizioni di particolare vulnerabilità, come nel caso in cui sia privata delle libertà personale».

La stretta voluta da Melillo è motivata da un combinato disposto che come ha spiegato Il Corriere del Mezzogiorno intreccia l’articolo 25 del codice della protezione dei dati personali (il divieto della comunicazione e diffusione dei dati personali), l’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti (tutela della dignità della persona) e infine l’articolo 8 della convenzione europea dei diritti dell’uomo.

«Il sistema normativo vigente si legge ancora nella circolare del procuratore impone il raggiungimento di un ponderato equilibrio tra valori diversi contrapposti, tutti di rilievo costituzionale, stante l’esigenza di un necessario contemperamento tra i diritti fondamentali della persona, il diritto dei cittadini all’informazione e l’esercizio della libertà di stampa».

Parole nuove nella procura dove ha lavorato il capitano dei carabinieri Gianpaolo Scafarto, indagato e sospeso dal servizio per aver manomesso l’informativa su Tiziano Renzi e Alfredo Romeo nel filone aperto da Henry John Woodcock, e dove le fughe di notizie, soprattutto nei procedimenti ad alto tasso mediatico, erano all’ordine del giorno. Così com’erano all’ordine del giorno le conferenze stampa dei suoi predecessori, Giandomenico Lepore e Giovanni Colangelo, che avevano una potenza di fuoco devastante per gli indagati che dovevano affrontare prima il processo di piazza e poi quello davanti ai giudici. Con esiti non sempre corrispondenti alle ipotesi d’accusa, peraltro.

E, proprio in occasione della presentazione napoletana del libro di Annalisa Chirico, «Fino a prova contraria», Melillo, questa stortura, l’aveva stigmatizzata con parole chiare e inequivocabili che sono parse come un monito nei confronti degli inquirenti più «disinvolti» dell’ufficio.

«Ho deciso di superare ogni rappresentazione celebrativa del lavoro del pm, ho smesso di fare conferenze stampe, non faccio comunicati stampa se non per correggere informazioni errate aveva detto . Non mi sentirete mai parlare di clan disarticolati o sgominati, né di note stampa per dire che «è stato accertato», dal momento che l’unico luogo di accertamento possibile è il processo». E non le pagine dei giornali. A parecchi «magistar», star della toga, staranno fischiando le orecchie.

IL GIORNALE

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