Jobs Act, la bolla sta per scoppiare: a rischio oltre un milione di posti
Roma – Il Jobs Act è una «bolla che sta per esplodere», denuncia il presidente di Confimprenditori Stefano Ruvolo.
«Quest’anno – ha ricordato – scadono gli incentivi triennali per un milione di contratti e il costo del lavoro per le aziende tornerà a crescere». Un report della Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro ha, infatti, individuato in oltre un milione i posti di lavoro a rischio. Di questi circa 700mila riguardano le assunzioni effettuate nel 2015 con lo sgravio totale triennale dei contributi previdenziali, terminato lo scorso 31 dicembre. Vi si aggiungono poi oltre 300mila contratti attivati nel 2016 e che beneficiavano di una forte decontribuzione e quelli iniziati l’anno scorso con i bonus «Occupazione Sud» e «Occupazione Giovani» (poco più di 100mila quasi tutti nel Mezzogiorno).
È anche vero che dal primo gennaio è raddoppiata la tassa sui licenziamenti, ossia il contributo da versare all’Inps per i licenziamenti collettivi da parte delle aziende con più di 15 dipendenti (da 490 a 980 euro per anno). Cosicché un lavoratore assunto tre anni orsono e diventato un esubero oggi presuppone il versamento di 2.940 euro che non sono pochi, ma che potrebbero comunque costituire un risparmio nel caso in cui la retribuzione fosse superiore a questa soglia. Soprattutto considerato che «conservare» un dipendente assunto tre anni fa comporterebbe un incremento di 8.250 euro di contributi previdenziali da versare. Al contrario, conviene effettuare un «arbitraggio» con il bonus «under 30» in vigore con la legge di Bilancio che presuppone uno sgravio fino a 3.050 euro per tre anni del 50% dei contributi previdenziali purché il lavoratore (o un dipendente che svolge mansioni analoghe) non venga licenziato nei sei mesi successivi.
Sono i paradossi delle politiche per il lavoro effettuate a colpi di bonus senza tener conto che la creazione di nuovi posti è una derivata della crescita economica e non della politica. Polemizzando con il segretario della Cgil, Susanna Camusso, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha sempre messo l’accento sulla «rilevantissima diminuzione della disoccupazione» cui ha contribuito il Jobs Act pur non negando la prevalenza dei rapporti a tempo determinato. Il problema è che, al di là dello sblocco dell’articolo 18, si sono prodotte tante altre rigidità, che come testimoniato da Bankitalia hanno portato dal 2009 a oggi a un proliferare di nuovi contratti siglati da istituzioni poco rappresentative ma in grado di fornire maggiore flessibilità ai datori.
Ecco perché il lavoro è in cima alle proposte politiche dei partiti. Se da un lato il Pd insiste ancora sulla riduzione del cuneo fiscale, va detto che la formazione di Matteo Renzi ha in programma l’introduzione del salario minimo che in un contesto come quello attuale potrebbe creare nuovi paletti in quanto potrebbe determinare un incremento dei costi in una fase ancora incerta. Forza Italia, pur puntando sulla decontribuzione per i neo assunti, ha invece messo l’accento sulla reintroduzione dei voucher per far emergere il lavoro nero e, soprattutto, sull’abbattimento della pressione fiscale che può considerarsi una precondizione per un trend occupazionale più soddisfacente.
IL GIORNALE