La nuova traversata nel deserto
È stata una traversata nel deserto, lunga e sofferta, iniziata il 12 novembre 2011, giorno in cui Silvio Berlusconi salì al Quirinale per rassegnare le dimissioni.
Un anno di Monti, poi Letta, Renzi, Gentiloni e tanti pasticci che hanno portato il centrodestra a dividersi fino a un passo dal punto di non ritorno. Non solo le defezioni e i tradimenti, ma anche le liti e lo scoramento tra chi cercava di tenere duro e salvare il salvabile. Sei anni sono tanti senza toccare palla, era già successo dal 1995 al 2001, ma parliamo di un’altra era politica. C’erano Gianfranco Fini a capo di An, Umberto Bossi a capo della Lega e Casini a fare da quarta gamba. Di quella pattuglia è sopravvissuto soltanto Silvio Berlusconi, che ieri ad Arcore ha suggellato il nuovo patto con Salvini e la Meloni. Ora è ufficiale: il centrodestra si candida a riprendere la guida del Paese, tra l’altro con buone probabilità, stando ai sondaggi, di raggiungere l’obiettivo.
Se ci si guarda indietro si vedono solo macerie, ma mai come oggi a guardare avanti c’è da crederci. Anzi, crederci è un obbligo se si esaminano le possibili alternative. Matteo Renzi si è rovinato con le sue mani. Non ha i numeri per tornare a Palazzo Chigi e se il suo asso nella manica fosse quello – annunciato in questi giorni – di trasferire i costi della Rai dal canone alla fiscalità generale (per fare un dispetto a Mediaset) non penso possa svoltare. Grasso e Boldrini ogni giorno annunciano nuove tasse sul ceto medio, patrimoniali, ius soli e statalizzazione delle università, insomma una riedizione di socialismo reale. Non molto distanti sono i confusi e contraddittori annunci di Di Maio e Cinquestelle: tagli alle pensioni, anche a quelle medio basse, assistenzialismo generalizzato e altre amenità del genere affidate a un personale politico senza alcuna esperienza o frustrato da precedenti fallimenti.
A volte, in politica come nella vita, si vince per meriti propri, altre per demeriti altrui. Il centrodestra varato ieri ad Arcore ha la grande fortuna di poter contare su entrambe le favorevoli condizioni. E soprattutto il vantaggio che il tempo che manca alle elezioni è tanto breve – meno di sessanta giorni – che rovinare tutto con qualche colpo di testa (cosa sempre possibile in politica) è davvero difficile. Speriamo impossibile.
IL GIORNALE