Matteo e l’opzione Gentiloni

Federico Geremicca

Ora che le tessere del puzzle elettorale sono tutte sul tavolo (intendiamo liste, simboli, coalizioni e perfino candidati premier) sono forse possibili un paio di annotazioni che – intimamente connesse tra loro – tratteggiano bene il bivio di fronte al quale si trova Matteo Renzi nella sua veste di segretario del Partito democratico.

 Il primo punto fa da premessa, e coglie l’ennesimo aspetto paradossale del sistema politico italiano: dopo aver approvato appena un paio di mesi fa una legge elettorale di segno proporzionale – che dunque non prevede premi di governabilità e indicazione del futuro presidente del Consiglio – anche gli stessi partiti che l’hanno votata hanno ora spensieratamente avviato la loro campagna elettorale nel segno dei candidati-premier. Lo fa la Lega, lo fanno i Cinque Stelle, lo fa il movimento di Pietro Grasso, e lo fa – ingannevolmente – perfino Forza Italia, indicando come presidente Berlusconi, che non può (per sentenza passata in giudicato) nemmeno esser candidato.

Ma così va. E se va così, la seconda annotazione è inevitabile: può il Pd partecipare alla contesa senza dire agli italiani quale sarà l’uomo che guiderà il governo in caso di vittoria della coalizione di centrosinistra?

 

La risposta parrebbe scontata, ma invece non lo è: Matteo Renzi, infatti, si limita a ripetere che il Pd offre agli italiani «una squadra» e che la scelta sarà fatta dopo. Si tratta di una posizione di grande debolezza, che rischia di frenare ulteriormente il Partito democratico e alla quale – per altro – non tutti credono, convinti che la genericità dell’indicazione nasconda la volontà di Renzi di tentare il ritorno a Palazzo Chigi, cosa oggi difficilissima.

 

Il tipo di campagna elettorale avviata dagli altri e la linea fin qui scelta dal Pd, dunque, pongono Matteo Renzi di fronte a un bivio. Mantenere l’attuale posizione, mettendo a rischio lo stesso risultato del suo partito e della coalizione, oppure abbandonare la sottile ipocrisia della «squadra» per gettare nella mischia il nome del candidato-premier del Pd. Una faccia da contrapporre a quelle di Berlusconi e Di Maio, insomma; un profilo solido e rassicurante che dia appunto il volto a quella «forza tranquilla di governo» che è lo slogan col quale il Partito democratico intende proporsi agli elettori.

 

Quella faccia – quel profilo – esiste ed ha il nome di Paolo Gentiloni, il premier che sta accompagnando il Paese al voto e che in questo anno e passa a Palazzo Chigi ha centrato non pochi obiettivi grazie proprio – e non sembri paradossale – al lavoro e alle riforme incubate negli anni di governo di Matteo Renzi. Può il Pd fare una scelta diversa, rinunciando alla sua candidatura a premier e annegandola, genericamente, in una «squadra»? Solo Renzi può deciderlo, rompendo gli indugi, dando una scossa alla campagna del Pd e aprendo nuove prospettive per l’intera coalizione.

 

Ma Renzi non lo farà mai, si sente ripetere in giro. Può essere, e sarebbe un errore. Piuttosto che un inspiegabile punto interrogativo, la faccia tranquilla di Paolo Gentiloni affianco a quelle di Berlusconi, Salvini e Di Maio, potrebbe riaprire d’improvviso la partita, favorendo esiti meno scontati. Per un motivo o per l’altro, il premier in carica per l’ordinaria amministrazione ha ammaliato un buon pezzo di Paese: non tenerne conto sarebbe un incomprensibile segno di rassegnazione, difficile da spiegare sia in campagna elettorale che nelle discussioni che seguiranno il voto.

 

È anche per questo che non è detto che – giunto di fronte al suo bivio – Matteo Renzi finisca per scegliere la via più gettonata. Al di là del carattere spigoloso e delle frequenti guasconerie – che tanto hanno contribuito a consolidare il clima non favorevole che oggi lo accompagna – il leader del Pd ha dimostrato di saper vestire gli abiti del politico lungimirante e tessitore, quando è necessario (e quando non è lui personalmente in questione): l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale è lì a ricordarlo.

 

Accade spesso, in politica, che una rinuncia oggi si trasformi in un successo domani: e quando si ha il futuro davanti – come lo ha Renzi, alla vigilia dei suoi 43 anni – il tempo per scommettere e attendere certo non manca. Annunciare che è Paolo Gentiloni il candidato-premier del Pd, insomma, non sarebbe semplicemente uno stucchevole «gesto di generosità», bensì un investimento sul Pd e sul futuro: anche sul suo personalissimo futuro.

LA STAMPA

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