Jeff Bezos, patrimonio da record: con 105 miliardi (in 25 anni) è l’uomo più ricco della storia

WASHINGTONL’uomo più ricco della storia è l’ultimo campione dei«geni del garage». Jeff Bezos, come Bill Gates, Steve Jobs e altri, trovava rifugio e ispirazione nella rimessa della sua casa di Seattle. Nel 1994 era già un trentenne brillante. Laurea in ingegneria a Princeton, un passaggio a Wall Street, una prima esperienza nel commercio internazionale con la Fitel, l’approdo all’hedge fund di New York, De Shaw & Co. Qui, nel 1992, aveva conosciuto MacKenzie Tuttle, che sposò l’anno dopo: la compagna della vita con cui ha avuto quattro figli.

Jeff veniva da un’infanzia non semplice: sua madre, Jacklyn Gise, lo ebbe nel 1964 quando era ancora adolescente da Ted Jorgensen, da cui divorziò l’anno dopo. Nel 1968 Jacklyn si trasferì a Houston con Miguel Bezos, un immigrato cubano che prestò diventò ingegnere della Exxon.

In quel 1994, dunque, Jeff aveva soldi, posizione sociale, un impiego d’élite: quanto bastava per soddisfare anche le ambizioni più esigenti. Niente rispetto a quello che sarebbe accaduto in quell’anno: Jeff inventa un nuovo formato commerciale, una libreria online che chiama «Cadabra» e poi «Amazon», come il Rio delle Amazzoni. Nel 1999 è già sulla copertina di Time, come persona dell’anno. Il decollo è stato verticale, un po’ come quello del razzo New Glenn, l’ultimo progetto di «Blue Origin», una delle società dell’imprenditore.

Ricchezza e immaginazione. Se non un eroe, certamente Bezos è uno dei personaggi chiave del nostro tempo. La classifica di Bloomberg ora gli accredita un patrimonio personale stimato in 105 miliardi di dollari, considerando la capitalizzazione di Borsa delle sue azioni. Ha scavalcato Bill Gates, fermo a 93,3 miliardi di dollari, a cui, però andrebbero aggiunti i circa 63 miliardi di dollari donati in beneficenza alla sua Fondazione.

Libri e poi dvd, videogiochi, macchine fotografiche, elettrodomestici. L’espansione di Amazon è fulminea, inarrestabile e mondiale. Se si vuole provare a definire «la dottrina Bezos» si deve partire da questa voracità insaziabile, questa spinta a debordare. Jeff è un onnivoro che ama raccontarsi come un uomo di grandi curiosità e passioni. A cinque anni, dice, rimase «folgorato» dallo sbarco sulla Luna. Come altri miliardi di persone, verrebbe da dire. Bezos, però, nel 2009 fondò «Blue Origin» e ora pianifica i primi voli di turismo spaziale per il 2019.

Ma anche sulla Terra l’orizzonte è ampio. Nel 2013 il businessman rivolge lo sguardo all’editoria, uno dei settori più maturi del mercato. Compra, per 250 milioni di dollari, il Washington Post, uno de quotidiani più importanti, a quel tempo piuttosto sofferente. Proprio ieri sono uscite le ultime cifre sulla gestione. Il giornale, con 800 reporter, è in utile per il secondo anno consecutivo e progetta un’ulteriore espansione. Guadagna con gli abbonamenti, che sono raddoppiati dal gennaio scorso. Il dato più sorprendente è che l’azienda ha aumentato i ricavi anche con la pubblicità digitale, nonostante la concorrenza micidiale di Facebook e di Google. C’è un po’ di «effetto Trump» in tutto questo. Sotto la testata si legge: «Democray dies in darkness».

Il core business, però, ruota sempre intorno ad Amazon, cui ha affiancato, nell’agosto del 2017, Whole Foods, la grande catena di supermercati di qualità negli Stati Uniti. Un’acquisizione record da 13,7 miliardi di dollari. Il progetto prevede: riduzione dei prezzi, distribuzione a domicilio ancora più capillare.

Ma non mancano le contraddizioni. L’editore del «liberal» Post litiga spesso con i sindacati, con i «maratoneti», i dipendenti dei magazzini Amazon, che percorrono chilometri e chilometri al giorno tra le linee di distribuzione. La Commissione europea lo accusa di non pagare il dovuto al fisco.

Intanto però tutti continuano a cercarlo. Bezos ha aperto un’asta per la nuova sede di Amazon negli Stati Uniti. Le più importanti città americane, a cominciare da New York, si sono messe in coda.

CORRIERE.IT

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