La badessa Annunziata politica frustrata che censura i colleghi

Bruno Vespa avrà ripensato al termine con cui ha definito affettuosamente, ma mica tanto, Lucia Annunziata in uno suo libro sulle donne italiane («se posso, una rompicoglioni»).

La giornalista che «sa quattro lingue ma non ne parla nessuna» (questa invece è di Sabina Guzzanti) si è battuta, peraltro inutilmente, per vietare che Porta a porta e altri programmi con conduttori inquadrati in Rai con un contratto artistico (e per questo, pagati molto più della Annunziata) si possano occupare di politica ospitando i leader in campagna elettorale. Fosse per la Annunziata, niente politica da Vespa, solo dai giornalisti veri come lei. «Col contratto da artista non si può seguire il voto, non ce l’ho coi colleghi ma la politica deve far rispettare la legge in tempo di par condicio», ha sentenziato sul Fatto la badessa di Sarno, riuscita a farsi pagare dalla Rai (sempre prodiga con i giornalisti organici alla politica, specie di sinistra) fino a 460mila euro per quattro interviste al mese (stipendio poi ridotto per rispettare il tetto di legge di 240mila euro).

Insomma solo un giornalista contrattualmente definito come tale può intervistare un politico, assicurando la giusta imparzialità e oggettività. Una dote che non tutti sono disposti a riconoscere nella carriera, schieratissima, della Annunziata, da giovane sessantottina figlia di ferroviere comunista («ero una militante scatenata) a redattrice del Manifesto fino alla Rai, prima a RaiTre, feudo del Pci, poi la presidenza «di garanzia» del manicomio Viale Mazzini e quindi i programmi. Avendo coperture trasversali (è pure nel club dell’Aspen Institute), di solito preferiscono non mettersela contro. Con qualche eccezione, tipo Giovanni Minoli che l’ha asfaltata: «Non è capace. È una donna molto intelligente ma è una politica frustrata e quindi lei ha il problema di dire che sa. Ogni domanda è un piccolo editoriale. Invece l’intervista è esattamente il contrario. Devi fare venire fuori l’altro» (già in passato l’aveva accusata di avergli copiato il format di Mixer, e di avere il difetto che «vuole sempre dirti che la sa più lunga di te. Ogni sua domanda è un editoriale»). Più truce il ricordo di Mario Luzzatto Fegiz, storico critico del Corriere della sera: «Quando dirigeva il TG3 andava in bagno scalza, perché lasciava le scarpe sotto la scrivania. Una vera signora. Con i giornalisti maschi usava un linguaggio da caserma. Ma il suo vero limite è sempre stata la sintassi, la scarsa conoscenza dell’italiano. E il carisma televisivo di una verza».

Organicissima, da giovane del Manifesto frequentava i giovani della Fgci e futuri leader e ministri Ds, c’è una vecchia foto di lei con Veltroni, Mussi e D’Alema che guardano assorti Giorgio Amendola. «Lo consideravamo un dio» dirà la Annunziata. Nell’estesissima categoria dei giornalisti italiani legati al Pci-Ds-Ulivo-Pd, la Annunziata è stata catalogata nell’area «dalemiana». In effetti uno dei pochi a cui non ha fatto saltare i nervi nelle sue interviste-editoriale che spesso si concludono a pesci in faccia. Celebre quando portò all’esasperazione Berlusconi durante la campagna elettorale del 2006 («Lei ha dei pregiudizi nei miei confronti, vado via. Dovrebbe provare un po’ di vergogna»). Ma anche il povero Francesco Rutelli, sotto pressione (suo malgrado, non c’entrava niente) per le ruberie dell’ex tesoriere della Margherita, perse le staffe davanti al rullo compressore della Annunziata: «Ma lei ancora insiste? Devo querelare anche lei? Ancora mi rompete le palle con questa storia!». Peggio ancora con Alfano allora leader del Pdl, partito che la Annunziata definì in diretta di «impresentabili», come se fosse un avversario di un altro schieramento e non il giornalista che conduce l’intervista. La Rai fu costretta a richiamarla per l’eccessiva partigianeria. Mentre la Vigilanza, ieri, ha bocciato il lodo Annunziata: potrà occuparsi di politica anche Vespa. Che si toglie il sassolino: «Spiace che parli di un tema così delicato senza documentarsi. Non esistono leggi a mio favore. E non c’è nessuna legge a favore. E non c’è nessuna ragione per sollevare un tema che in campagna elettorale non si è mai posto».

IL GIORNALE

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