Il fisco possibile e i partiti
Difficile dimostrare in modo (davvero) scientifico se parlando di tasse le elezioni si vincono o si perdono. Ma una cosa è certa: le tasse sono uno degli argomenti chiave della campagna elettorale e tendenzialmente la promessa di una riduzione delle imposte trova (da sempre) il favore dei contribuenti. Il punto è però un altro: capire in che modo la riduzione annunciata-promessa sarà sostenibile, ad esempio attraverso il taglio delle spese. Altrimenti lo stesso contribuente si troverà a dover affrontare un onere ancora maggiore che affiorerà inesorabile da qualche altra parte nel bilancio dello Stato. Sembra una questione puramente contabile ma non lo è. Basti un dato: la spesa per interessi sul debito pubblico si aggira intorno ai 70 miliardi di euro ogni anno. L’evasione fiscale, secondo alcune stime, è pari a circa 120 miliardi. Un piccolo conto e si può facilmente dimostrare che ci sarebbero risorse sufficienti a saldare quella voce di spesa. Ma non è così.
Il fisco, comunque lo si guardi, è una macchina complicatissima.E non sempre equa. Ci sono cittadini che per un mancato versamento di 50 euro ricevono una cartella esattoriale e altri che riescono a risultare «invisibili» alle imposte per migliaia di euro.
Due mondi opposti che si recheranno al voto. C’è un punto sul quale tutti sono d’accordo, ma sul quale tutti fanno fatica a intervenire: il Senato della Repubblica ha calcolato in ben 610 le misure che regolano agevolazioni, bonus, diritti a vario titolo. Una selva che rende complicata la vita dei contribuenti. Che, vale la pena ricordarlo, lavorano 170 giorni all’anno per il Fisco. Tradotto: la «liberazione» avviene solo il 19 giugno, calcola la Cgia di Mestre.
È in questo quadro che i partiti si sono presentati con le loro proposte, dalla cancellazione delle tasse universitarie di Liberi e Uguali, alla tassa piatta (flat tax) di Forza Italia e della Lega, al riordino proposto dal Pd, tenendo conto del centro e delle imposte locali (sempre più elevate), secondo il principio «pagare meno, pagare tutti», fino alla formula del fisco giusto, sostenibile e snello orientato alla riduzione della pressione fiscale soprattutto per le fasce di reddito medio-basse, indicata dal MoVimento 5 Stelle.
Nessuno dunque, e sul lato del consenso è comprensibile, immagina di alzarle. Eppure, tanto per cominciare, sui conti pende sempre la questione della clausola di salvaguardia per l’aumento dell’Iva (solo sospesa per il momento). Il professor Francesco Forte, autore di una proposta di flat tax con dosi di progressività ha stimato che ogni punto di riduzione corrisponde a 7,5 miliardi di gettito in meno. Starà ai partiti spiegare sempre meglio, nel corso della campagna elettorale, quali saranno le coperture, le compensazioni necessarie per tenere a bada il debito pubblico. Un debito che viaggia intorno al 132 per cento del prodotto interno lordo. E resta, nonostante tutto, il principale elemento sul quale la credibilità della classe di governo verrà misurata dai mercati. Aspetto che, in realtà, negli annunci elettorali appare molto laterale.
Ben venga dunque il dibattito sulle imposte, perché se anche l’Istat ha di recente certificato che la pressione fiscale è scesa ai livelli più bassi dal 2011, toccando circa il 40,3%, è vero che la sensazione di vivere da tartassati (evasori esclusi, naturalmente) è molto diffusa. Lo scorso anno l’Agenzia delle Entrate è riuscita a recuperare circa 19 miliardi, un risultato record. Forse questa strada va perseguita. Alzi la mano chi si direbbe contrario alla riduzione delle imposte. Eppure bisogna considerare che a fronte di quelle imposte i cittadini chiedono servizi pubblici. Il punto del nuovo equilibrio di governo sta nell’ottenere gli stessi servizi (magari addirittura migliori) con minori spese. Esercizio che finora, bisogna ammetterlo, non è riuscito molto bene. E invece rappresenta la strada più percorribile per arrivare ad una graduale riduzione delle imposte.
C’è un antico principio, quello della «no taxation without representation», nessuna tassa senza rappresentanza, un criterio base delle democrazie moderne, utilizzato di recente da Trump per ridurle negli Usa. Un principio che non può essere sostituito dagli annunci. Le tasse sono materia di consenso, certo. Ma vanno maneggiate con cura.
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