Greco smentisce la bufala e “La Stampa” lo censura
Milano – Qualcuno non la racconta giusta. O la Stampa e il Secolo XIX che ribadiscono di avere avuto da due fonti la notizia dell’inchiesta sulla vendita del Milan ai cinesi aperta dalla Procura di Milano.
O la Procura, e direttamente il suo capo Francesco Greco, che sabato ha smentito tutto con lo smalto delle grandi occasioni: rientro in ufficio in pieno week end, giornalisti convocati, dichiarazione dettata parola per parola: «Non c’è nessun fascicolo». Un smentita talmente netta da trasformare la notizia dell’ennesimo impeachment di Berlusconi in una sorta di boomerang ripiombato addosso agli esponenti della sinistra che già si preparavano a utilizzarla in campagna elettorale.
Ma come stanno esattamente le cose, in questa vicenda che ha tutti i requisiti per diventare un caso di studio sui rapporti tra giustizia, informazione e politica? Ieri la Stampa non parla più di un’inchiesta formale ma di una «indagine» e di «verifiche» in corso. Che un fascicolo vero e proprio non esista, dunque, appare ritenerlo possibile anche il quotidiano torinese: e d’altronde davanti alla nettezza delle smentite di Greco era difficile sostenere il contrario. Anche se negli ambienti di palazzo di giustizia si dice che la sera di venerdì, prima della pubblicazione del presunto scoop, Greco aveva risposto in modo un po’ più possibilista alla richiesta di conferme di un giornalista della Stampa.
Per difendere la propria linea, però, ieri il quotidiano torinese riporta solo in parte le dichiarazioni di Greco: che non si è limitato a negare l’esistenza di una inchiesta, ma anche quella di un fascicolo esplorativo, il cosiddetto «modello 45»; e soprattutto ha spiegato come l’intera operazione Milan-Cina sia passata sotto la lente di ingrandimento della Banca d’Italia, attraverso il suo Ufficio informazioni finanziarie (Uif), che ha dato il via libera non avendo riscontrato irregolarità. E non è tutto: nella lunga chiacchierata con i cronisti Greco ha smentito anche l’ipotesi che elementi sull’affare Milan siano emersi dalle rogatorie sull’asta per i diritti tv («Non c’entra un cavolo»); e ha ribadito di essere stato tenuto al corrente da Niccolò Ghedini («lui mi informava step by step») dei vari passi avanti delle trattative. E aveva concluso ribadendo che la Procura non aveva motivo di intervenire: «Noi ci muoviamo se c’è una denuncia». Ma una denuncia, allo stato, non c’è: a meno che non si voglia considerare tale l’esposto del Movimento 5 Stelle, ovvero di un soggetto politico in aperto scontro con Berlusconi: difficile che la Procura di Milano voglia farsi usare in una polemica elettorale.
Eppure, qualcosa sul tavolo dei pm c’è. Come scritto ieri dal Giornale, la Procura ha in mano un rapporto della Guardia di finanza, che riporta anche le conclusioni dell’Uif. La Stampa e il Fatto riportano la medesima notizia. E d’altronde la stessa Fininvest conferma di avere consegnato documentazione a Greco sui rapporti con Li Yonghong e la sua cordata. La questione vera è ora capire quale sia il contenuto della informativa delle Fiamme gialle. Un nulla di fatto, un accertamento che conclude per la regolarità dell’operazione, sull’onda dell’analisi della Banca d’Italia: questo risulta al Giornale, ma solo sulla base di fonti di seconda mano. Chi invece spinge sulla tesi del riciclaggio e dell’autoriciclaggio (soldi di Fininvest fatti rientrare con lo schermo dell’operazione) è convinto invece che gli accertamenti Uif abbiano dimostrato l’irregolarità dell’operazione. Ma se così fosse, la Procura avrebbe avuto il dovere, a norma dell’articolo 335 del codice di procedura penale, iscrivere «immediatamente» la notizia di reato nel registro apposito. E questo, ormai è sicuro, non è avvenuto.
IL GIORNALE