“Paghi la visita e salti le attese”. Il 60% dei pazienti va dai privati
Non siamo alla mazzetta da duemila euro richiesta a Padova per anticipare i tempi di un’operazione, ma poco ci manca. Il dato che racconta la situazione è uno: più di un italiano su due, per l’esattezza il 59,2 per cento dei pazienti, preferisce pagare la visita a un medico specialista (ospedaliero o privato) per accorciare poi i tempi di ricoveri, analisi e accertamenti diagnostici.
I manager di asl e ospedali interpellati ammettono che a volte nei reparti i primari conservano qualche letto libero per i propri pazienti privati. Un po’ come fanno i ristoratori con i tavoli riservati per i loro clienti. Solo che qui parliamo di diritto alla salute, non di primo, secondo e coperto. I diretti interessati puntano l’indice contro i tagli che hanno dilatato i tempi di attesa, ma ammettono che qualcosa non va. «L’attività privata non è tutto un malaffare e aggirare le liste d’attesa è un reato, ma capita che un medico dia una mano a un proprio paziente privato trovando una motivazione clinica per accelerare i tempi», afferma Costantino Troise, segretario del principale sindacato dei camici bianchi ospedalieri, l’Anaao.
«Ma è chiaro che la gente si rivolga al privato se il pubblico arretra, perdendo in tre anni 10 mila medici e 70 mila posti letto nell’ultimo decennio». Per arginare il fenomeno della visita privata «accorcia tempi» qualche Regione in realtà s’è mossa. L’Emilia Romagna non autorizza l’attività a pagamento dei medici ospedalieri quando in reparto non si rispettano i tempi massimi di attesa, che sono di 72 ore per le urgenze, 10 giorni per quelle un po’ meno gravi e rispettivamente di 30 e 60 giorni nel caso delle visite e accertamenti differibili. Altrettanto ha annunciato di voler fare nel Lazio Nicola Zingaretti. Una strada aperta dall’ex governatore della Toscana, Enrico Rossi, che con il cambio della guardia in Regione si è interrotta lì.
Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato, indica come arma per arginare il fenomeno la gestione trasparente delle liste d’attesa. «Prima di tutto bisogna porre fine al fenomeno illegale delle liste chiuse che non fanno accettare prenotazioni e che possono celare qualsiasi loro aggiramento per interessi privati. Poi il sistema deve essere centralizzato a livello regionale». Un’indagine del Tribunale del malato ha poi dimostrato che per gli interventi oncologici non è così nel 13% delle strutture del Nord, ma quasi nella metà di quelle del Centro e nel 55 in quelle del Sud. Percentuali tra le quali è più facile far passare la spintarella.
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