Per Silvio l’ostacolo sovranista

Ugo Magri

Sì, sì ma, ni, anzi no. Tradotto nel gergo parlamentare: voto favorevole, favorevole con riserva, astensione, contrario. L’intero kamasutra delle posizioni possibili è stato esibito ieri dal centrodestra sulla missione italiana in Niger. È in gioco la stabilità di un’area dove attingono i nuovi mercanti di schiavi; inviare i soldati, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo, fa soprattutto gli interessi nazionali nostri. Per cui il governo si sarebbe atteso un corale appoggio dalla coalizione che più forte denuncia i rischi degli sbarchi fuori controllo e, politicamente, ne cavalca la paura.

 Questo sostegno è arrivato da Forza Italia che, per sua consuetudine, sempre vota bipartisan quando è in gioco la sicurezza nazionale. Nonostante i molti dubbi, così si sono regolati pure i Fratelli d’Italia. Ma la Lega, che sette giorni fa col suo leader Salvini si dichiarava pronta a sostenere missioni perfino in Islanda, se fosse servito a bloccare l’immigrazione, ha preferito astenersi alla Camera. Si è giustificata con certi magheggi francesi sull’uranio africano, per cui noi diventeremmo una specie di Légion étrangère al soldo di Parigi: stessa ragione addotta da chi, perfino tra i centristi, si è dichiarato contrario.</

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I 470 soldati partiranno ugualmente. Sul terreno che più conta, della lotta ai trafficanti di poveri esseri, l’astensione padana peserà zero. Ma se si guarda avanti, a ciò che possiamo attenderci dalla coalizione in testa nei sondaggi, secondo Euromedia addirittura molto vicina alla soglia del 40-42 per cento che garantirebbe la maggioranza assoluta, viene da chiedersi chi reggerebbe un domani il timone e con quale capacità di farsi rispettare. Di sicuro se lo domandano da ieri sera nelle cancellerie europee, dove la prospettiva di un centrodestra forse vincente, ma disunito sulle cose vere e serie, suscita ovvia apprensione. Se Berlusconi e i suoi alleati riescono nel capolavoro di dividersi sulla missione in Niger, cosa potrebbe accadere il giorno che l’Italia dovesse scegliere (speriamo mai) tra l’Unione e i suoi tanti nemici a Est come a Ovest? Il Cav è politicamente rinato proponendosi quale «rassicuratore». Con la sua esperienza, vuole garantire continuità nelle scelte euro-atlantiche e negli impegni assunti coi nostri partner. Tutte le volte, frequenti, che i «sovranisti» passano il segno lui minimizza: loro non contano, comanderò io. Fin qui è stato preso in parola e talvolta perfino riabilitato da chi lo considerava il diavolo. Ma le piroette di Salvini sulle missioni all’estero riportano coi piedi per terra, inducono a dubitare sulle doti salvifiche di Berlusconi. E c’è dell’altro.

 

Nonostante due paginette di spartito comune, infarcite di obiettivi condivisi perché generici quanto potrebbe essere «viva la mamma», l’esuberanza della destra-destra produce cacofonia. Sulle pensioni. Sui vaccini. Perfino sui concetti elementari come uguaglianza e razzismo. Si vede che manca il direttore d’orchestra. Oppure (cambia poco) chi impugna la bacchetta non riesca a farsi rispettare. A volte Salvini e Meloni suonano fuori tempo apposta per fargli saltare i nervi. In altri casi sfidano Berlusconi con la certezza totale di farla franca. Il negoziato sulle liste di centrodestra è la prova generale di un’alleanza che gli elettori condanneranno, forse, a governare; però divisa al suo interno, ansiosa di riprendersi il potere e già feroce nella spartizione del bottino. Pur di creare armonia, l’ex premier aveva dato in pasto la Lombardia alla Lega, quasi senza colpo ferire, accettando un candidato governatore come Attilio Fontana che non lo convinceva nemmeno dopo aver rasato la barba. In cambio, Silvio si aspettava di scegliere lui chi candidare nel Lazio, e sperava di fare largo nei collegi alla «quarta gamba» moderata, arma segreta della potenziale vittoria. Ma è di queste ore che Noi con l’Italia viene massacrata dai veti, i suoi esponenti trattati da accattoni. E nel Lazio la Lega sobilla il sindaco di Amatrice Pirozzi, a capo della sua lista di «scarponi», in uno strano gioco a perdere che favorisce il governatore uscente Pd, Zingaretti. Così Berlusconi, per essere generoso con gli alleati, rischia la parte di Babbo Natale, fuori tempo massimo.

LA STAMPA

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