Giallo a Cinque stelle: intercettazioni Consip anche contro Di Maio
Roma – E nel caso Consip, adesso, ci finiscono di riffa o di raffa pure i pentastellati. A metterceli è il vicedirettore del Fatto Quotidiano, Marco Lillo, che ieri ha raccontato di una «polpetta avvelenata» contro il candidato premier a Cinque stelle, Luigi Di Maio.
Ma già che c’era ha pure colpito l’ex assessore al Bilancio della Raggi, Andrea Mazzillo, uscito ad agosto dalla giunta.
Mazzillo era già finito suo malgrado nelle carte del caso giudiziario che ha imbarazzato Matteo Renzi e il Giglio magico, al netto delle anomalie dell’inchiesta che vede indagato il capitano del Noe Giampaolo Scafarto.
A tirare in ballo l’ex assessore pentastellato al bilancio di Roma Capitale era stato un biglietto col suo nome ritrovato tra le carte dell’imprenditore al centro dell’inchiesta, Alfredo Romeo, da questi buttate via e recuperate poi dagli inquirenti in discarica. Mazzillo, interpellato sulla questione lo scorso marzo, non ebbe problemi ad ammettere di aver conosciuto «a un convegno» l’ex ad di Consip Domenico Casalino. Ma aggiunse: «Non conosco invece le ragioni per cui il mio nome fosse scritto su un foglio di carta attribuibile a Romeo». Tutto chiaro? No. Perché ora la firma del Fatto sfodera nuove informative del Noe che riportano conversazioni su M5S «penalmente irrilevanti» ma certo interessanti. Gli inquirenti raccontano di una cena in un ristorante sardo su via Salaria, a Roma, che sbugiarda Mazzillo, che a quel pranzo del 16 novembre 2016 era seduto a tavola non soltanto con Casalino, ma proprio con Romeo. A parlare di lavoro, tra gestione del patrimonio immobiliare ed eventuale alienazione degli immobili di proprietà del Campidoglio.
A farla breve niente di illecito. Ma il dettaglio rende meno «misteriose» le ragioni per cui l’imprenditore poteva avere il nome dell’assessore – col quale era stato a pranzo – tra i suoi appunti. Sarà un caso, ma il povero Mazzillo si è ritrovato, martedì, escluso dalle parlamentarie per un problema «tecnico» capitato a Rousseau, la piattaforma per le votazioni online del Movimento che ieri sera non si erano ancora concluse.
La seconda intercettazione – sempre penalmente irrilevante – riportata da Lillo è ancora più scottante per la levatura del personaggio. E riguarda, appunto, l’aspirante premier grillino, Di Maio. Citato de relato a ottobre 2016 da Carlo Russo, l’imprenditore di Scandicci amico di Tiziano Renzi, il papà dell’ex presidente del Consiglio. A Romeo che gli chiede se abbia conosciuto l’enfant prodige pentastellato, Russo replica con un secco «no», ma aggiunge un aneddoto. E spiega di essere amico con un importante dirigente del Miur, Luciano Chiappetta, al quale Di Maio si sarebbe rivolto – andandolo a trovare nella casa dove il burocrate «si ritira nei fine settimana e si va a fare le vacanze con la moglie» – per chiedere favori lavorativi per la mamma – che insegna italiano e latino al liceo – e per la sorella architetto. Lillo ha chiamato Chiappetta. Che ha direttamente negato di conoscere sia Russo che Di Maio, pur avendo abitato, come quest’ultimo, a Pomigliano.
Registrare la versione del presunto «raccomandante» basta a Lillo – in versione gip – per assolvere Di Maio, vittima di «polpetta avvelenata». E al direttore del Fatto, Marco Travaglio, per sostenere che a salvare Di Maio da un potenziale ricatto elettorale sia stata proprio la pubblicazione di queste intercettazioni penalmente irrilevanti. Che, altrimenti, sarebbero rimaste nelle «segrete stanze», magari per finire nel ventilatore a ridosso del voto, suggerisce il direttore. E «nessun Lillo potrebbe verificarne la fondatezza».
Basta poco, insomma. Un po’ come per Mazzillo, quando confessò di non sapere come mai il suo nome era tra le carte di Romeo. Gli avevano chiesto se ne sapeva nulla e aveva negato. Anche quella era una «verifica di infondatezza». Smentita poi dalle intercettazioni.
IL GIORNALE