Tasse locali, salasso di 47 miliardi. Roma in vetta alla classifica
Roma, 23 gennaio 2018 – Leader e partiti promettono a man bassa di tagliare imposte e balzelli, ma Regioni e Comuni (con il Lazio e con la Capitale in vetta alla classifica) spremono e tassano a più non posso: con un bottino incassato di circa 47 miliardi di euro da gennaio a novembre 2017. Ma, quando si tratta di pagare, lo fanno, invece, tardi e male. E così famiglie e imprese devono fare sempre di più i conti con enti locali che, da un lato, aumentano aliquote e percentuali e, dall’altro, lesinano sui pagamenti da loro dovuti. È la doppia faccia o la doppia beffa della gestione fiscale e contabile delle autonomie territoriali italiane, come emerge da una ricerca condotta dall’Istituto per la Competitività (I-Com) che sarà presentata domani a Roma e che qui anticipiamo.
IL RECORD. Dallo studio – curato dal presidente di I-Com Stefano da Empoli e dal direttore dell’Area istituzioni Gianluca Sgueo – viene fuori come la pressione fiscale sia arrivata a toccare in molte zone del Paese livelli mai raggiunti prima. È il caso, in primo luogo, proprio di Roma, dove i cittadini pagano le imposte più elevate d’Italia per via dell’effetto combinato delle addizionali regionali e di quelle comunali all’Irpef. In pratica sia la Regione Lazio sia il Campidoglio hanno fissato aliquote ben più alte della media nazionale per i rispettivi ambiti di competenza. Con la conseguenza di imporre agli abitanti della Capitale un vero e proprio salasso. L’addizionale regionale Irpef raggiunge un livello massimo del 3,33%, il più pesante del Paese insieme con il Piemonte, mentre quella del Comune di Roma arriva fino allo 0,9% (e in questo caso è record in solitaria).
LA CLASSIFICA. La città eterna conquista così il primato nazionale negativo con un’aliquota totale pari al 4,23%. A seguire Torino con il 4,13% (l’addizionale regionale ammonta al 3,33% e quella comunale allo 0,8%) e, un gradino più in basso, Genova, Bologna, Campobasso e Potenza con il 3,13%. Aosta e Firenze fanno invece registrare i risultati migliori rispettivamente con l’1,53 e l’1,93%.
L’IRAP. Classifica abbastanza simile anche per l’imposta regionale sulle attività produttive che grava sulle imprese. Il valore fissato dallo Stato è del 3,9%, ma molte regioni hanno optato per un ulteriore inasprimento del balzello. In questo caso la maglia nera va alla Campania con il 4,97%, seguita da Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia con il 4,82. Le regioni con l’Irap più bassa sono il Trentino Alto Adige e la Sardegna.
I DEBITI. Ma se a tassare non si fanno problemi, quando si tratta di pagare, l’atteggiamento degli enti (Comuni, Regioni, Asl e via dicendo) è opposto. È previsto, di regola, che la pubblica amministrazione saldi i suoi debiti nell’arco di 30 giorni dalla fattura oppure, in alcuni casi specifici, entro 60. Ma a non rispettare le scadenze indicate, sono quasi i due terzi degli enti pubblici italiani, il 63% del totale. Di questi, oltre l’80% è costituito dai Comuni che si confermano statisticamente i peggiori pagatori della nostra Pa.
CATTIVI PAGATORI. In testa alla classifica sono Napoli, Campobasso e Potenza che saldano i fornitori rispettivamente con 157, 163 e 180 giorni di ritardo, con qualche miglioramento recente per il capoluogo lucano e notevoli peggioramenti per le altre due città. Roma è stabile nei suoi ritardi: ci mette in media 57 giorni più del dovuto. Sforano i tempi previsti, seppur di meno giorni, anche Palermo, Torino, Venezia e Milano. La classifica dei Comuni virtuosi comprende, invece, Bologna, Genova, Torino, Trieste e Firenze ed è guidata da Trento che paga i suoi debiti addirittura con un anticipo medio di 17 giorni.
IL GIRO D’ITALIA. Quanto alle regioni, infine, a metterci più tempo di tutte sono il Molise – che arriva addirittura a saldare i suoi fornitori con 279 giorni di ritardo – e la Basilicata. Non rispettano i tempi previsti, anche se in misura inferiore, anche Veneto, Abruzzo, Piemonte, Sicilia e Calabria.
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