Piero Angela: “Mio padre ‘giusto tra le nazioni’, salvò tanti ebrei e non volle mai dirlo”

di MARINA PAGLIERI

Piero Angela, come vive la commemorazione di suo padre “Giusto tra le Nazioni” che verrà fatta stasera con un concerto spettacolo al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino?
“Mi fa molto piacere che venga ricordato, assieme ad altre figure, perché lui, che era un antifascista sino dalla prima ora, ha fatto sempre il suo dovere senza mai chiedere niente in cambio o dare risonanza alle sue azioni. Semplicemente ha voluto aiutare gli altri e l’ha fatto in silenzio, senza mettersi in evidenza. Poi, nel 2002, è uscito il diario di Renzo Segre, uno degli ebrei che ha salvato, e la vicenda è venuta fuori”.

Ce la può ricordare?
“Carlo Angela, mio padre, era uno psichiatra e durante le persecuzioni razziali nascose nella clinica che dirigeva a San Maurizio Canavese ebrei, uomini e donne anche perseguitati, accogliendoli sotto falso nome. Li istruì su come fingersi falsi malati, facendoli passare per matti, e in questo modo li salvò. Io sono nato a Torino, ma allora con tutta la famiglia eravamo sfollati in quel Comune e ci siamo rimasti per un bel po’ di tempo. Fu un periodo molto difficile, drammatico anzi per certi versi, in cui presi coscienza di tante cose: nel febbraio del 1944 mio padre, sospettato e interrogato, rischiò di essere fucilato e si salvò a stento. Era già arrivata una squadra di fascisti da Torino per catturarlo. Poi, per una serie di circostanze fortuite, come capita a volte nella vita, si salvò. Era ricoverato allora nella sua clinica un personaggio dell’alta nobiltà piemontese che intervenne in suo favore presso il comandante fascista che voleva farlo giustiziare”.

Chi era Renzo Segre?
“Era un ebreo che nei documenti fasulli risultava essere un certo dottor Sagrato. Tenne un diario di quel periodo che rimase a lungo a casa sua, la figlia non pensò di pubblicarlo fino alla fine degli anni Novanta. Uscì quindi da Sellerio con il titolo “Venti mesi”. Così si è saputo quello che mio padre aveva fatto in favore degli ebrei, quanti ne aveva salvati: alcuni li ho conosciuti e identificati, altri no. Poi Yad Vashem, l’ente che si occupa della memoria della Shoah, fece un’indagine sui fatti descritti in quelle pagine e diede a mio padre il titolo di “Giusto tra le Nazioni”, attribuito alle persone non ebree che si sono adoperate per salvare gli ebrei dal genocidio. Nel libro “Il mio lungo viaggio”, che ho scritto di recente, in occasione dei miei prossimi 90 anni, racconto queste vicende e riporto una pagina commovente del libro di Segre, in cui racconta la gioia di uscire da quell’incubo, la Liberazione”.

Sono efficaci secondo lei le iniziative che vengono organizzate per la Giornata della memoria?
“L’antisemitismo e il razzismo non si sradicano facilmente, bisogna ribadire continuamente i concetti legati al rispetto in una società mescolata, in cui bisogna vivere in una condizione di reciproca tolleranza. È terribile che quelle persone siano state estromesse dalla società. Pensiamo a Liliana Segre, da poco nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Mattarella: a questa bambina a un certo punto è stato vietato di andare a scuola, gli insegnanti di colpo non potevano più occuparsi di lei. Bisogna respingere queste idee distorte, essere pronti ogni volta a contrastarle e pensare alle conseguenze di certi governi forti, che generano tragedie per l’umanità. C’è un dibattito forte in corso, non solo in Italia. In Francia è tornato l’antisemitismo, forse perché là vivono molti musulmani, un fatto che si incrocia con un problema politico, non solo razziale. Questa delle persecuzioni nei confronti degli ebrei è d’altronde una storia che è iniziata millenni fa”.

Come ha vissuto la storia di suo padre, che si è battuto in nome di un’idea di libertà?
“Guardi, l’ho vissuta in prima persona, perché allora ero già un ragazzo, sono nato infatti nel ’28 e nel ‘44 avevo 16 anni. Per poco non sono stato a mia volta chiamato alle armi. Ricordo bene Renzo Segre, che ho conosciuto allora, insieme alla moglie. Era una persona terrorizzata, che viveva in una continua attesa di qualcosa di tragico, di essere catturato da un momento all’altro: grazie a mio padre si è salvato”.

Che lezione le ha lasciato suo padre?
“Purtroppo è morto quando avevo vent’anni, proprio nella fase in cui si comincia a comunicare tra persone adulte. Ma l’esempio che mi ha lasciato è forte: mi ha trasmesso dei valori, come l’onestà, il senso del dovere, il tenere la schiena diritta. Ha rischiato la vita per gli altri: l’esempio vale per i figli molto più di tante prediche. Mi fa piacere che venga ricordato a Torino, città in cui torno spesso, perché ho ideato una serie di trenta lezioni al Politecnico sulla società di oggi e sul mondo che verrà, affidate a grandi personalità della scienza, della medicina, dell’economia,dell’imprenditoria destinate ai migliori studenti di quell’università e di scuole superiori,che vengono trasmesse anche in streaming. E mi fa piacere che gli abbiano dedicato una via a Roma, in un fase tra l’altro in cui è sempre più difficile che questo accada: si trova proprio vicino a Saxa Rubra e dunque agli studi della Rai, un luogo a me piuttosto familiare”.

REP.IT

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