Le insidie alle spalle di una crescita troppo forte

di MAURIZIO RICCI

Siamo sull’orlo di una bolla? E, alla fine, quando ci sarà il botto, diranno che è tutta colpa di Draghi che è troppo bravo? Il 2018 inizia, in effetti, sotto l’ombra di un paradosso. Eccolo: la buona notizia è che l’economia mondiale va a gonfie vele; la cattiva notizia è che l’economia mondiale va a gonfie vele. E, invece, non dovrebbe. Il dubbio serpeggiava, in questi giorni, a Davos: le cronache raccontano che i protagonisti del mondo degli affari non avrebbero potuto che congratularsi per un’economia che va come una macchina ben oliata, con le borse alle stelle, con il Fmi che rialza proiezioni di sviluppo vecchie di soli tre mesi. E, al contrario, si guardavano in giro preoccupati: quanto può durare ancora la pacchia?

Una grande banca come Morgan Stanley ha messo le mani avanti: il 2018 non sarà come il 2017 e sarà bene stare attenti. Sui mercati, dicono i suoi analisti, è iniziata la fase dell’”euforia”: più che investire, si specula. E uno dei guru del Wall Street Journal ha esortato: “Abbiate paura”.

A leggere bene l’analisi che accompagna le nuove previsioni del Fmi, del resto, l’ottimismo appare piuttosto rarefatto. Lo stimolo della riforma fiscale di Trump, dice il capo economista, Maurice Obtsfeld, avrà vita breve, l’economia Usa è già ai limiti del surriscaldamento, un brusco rialzo di tassi e inflazione avrebbe effetti a catena dentro e fuori gli Stati Uniti: i mercati si accorgerebbero presto che, mediamente, ci sono in giro più debiti oggi che prima della Grande Crisi del 2008 e i governi hanno meno munizioni per farvi fronte. La situazione, spiega, è figlia della scelta che le banche centrali non potevano non fare per tamponare la Grande Crisi: moneta facile. Ma, alla lunga, la politica monetaria accomodante ha drogato i mercati finanziari. “Gli operatori si sono convinti che le banche centrali possano risolvere qualsiasi problema – dice Obtsfeld – ma non è vero”.

Stranamente, Obtsfeld, che è stato un nemico dell’austerità e un fautore dello stimolo monetario, si ritrova oggi sulla stessa sponda dell’ultimo profeta dell’austerità: Claudio Borio, il capo economista della Bri, la banca centrale delle banche centrali. Presentando l’ultimo Bollettino della Banca dei Regolamenti Internazionali, Borio ha notato che l’indicatore che misura le condizioni finanziarie registra una politica monetaria mai così accomodante dalla metà degli anni ’90. Non è sorprendente, dunque, che l’economia marci veloce. E’ sorprendente, però, che questo avvenga mentre la più grande banca centrale del mondo, la Fed, sta alzando i tassi e l’altra, la Bce, ha cominciato a muoversi nella stessa direzione.

Ma la stretta monetaria sembra fermarsi al portone delle banche centrali. E Borio evoca il fantasma che, probabilmente, agita i sonni dei più riflessivi fra i boss della finanza: il “Greenspan conundrum”, l’enigma di Greenspan. Come è possibile, si interrogava, nei primi anni 2000, il mitico capo della Fed degli anni di Clinton e Bush, che io rialzo i tassi, ma i rendimenti a lungo termine, invece, scendono e i prezzi dei titoli salgono? Il manuale del banchiere centrale dice esattamente il contrario e, finora, non ha mai sbagliato.

Invece, è finita malissimo, come ognuno sa. Ma perché, adesso come quindici anni fa, gli strumenti a disposizione delle banche centrali si dimostrano così goffi e imprecisi? Borio non ha una risposta solida, ma le ipotesi che avanza rimbomberanno, probabilmente, nelle stanze della Bce a Francoforte. Perché la stretta monetaria, argomenta il capoeconomista della Bri, è stata forse, per non pregiudicare la ripresa, troppo lenta e cadenzata. Soprattutto, troppo prevedibile e trasparente. Le due cose insieme hanno radicato nei mercati la convinzione che le banche centrali non avrebbero comunque dato scossoni, avrebbero fatto l’impossibile per non azzoppare l’economia e, comunque, non avrebbero mai dato sorprese.

Questo quadro di certezze avrebbe consentito agli operatori di alzare il livello di rischio, a prescindere dalla politica monetaria.
Discorsi non molto diversi erano già stati fatti in passato dai “falchi” della Bce, scontenti delle rassicurazioni con cui Draghi ha guidato con mano sicura i mercati, nella lunga teoria di conferenze stampa di questi anni. In realtà, il problema vero è che, complice il ristagno dei salari, l’inflazione, nonostante le paure, in realtà non si muove. Ma c’è il rischio che, invece che di questo, nelle prossime settimane si parli soprattutto della “forward guidance” – l’illustrazione della politica della banca centrale – che Draghi ha trasformato, in questi anni, in un esercizio di straordinaria abilità.

REP.IT

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