Enrico Letta: “Tragici errori sulle liste, il Pd corre verso l’abisso”

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Dal 2015 Enrico Letta dirige la Scuola di affariinternazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi

fabio martini
roma

Enrico Letta tante ne ha viste – e tante ne ha fatte – nella sua vita politica, ma sostiene che in questi giorni dentro al Pd sta accadendo qualcosa di speciale: «Ricevo reazioni indignate da tutta Italia: non mi capitava da tempo…». Sono trascorse poche ore dall’epifania delle liste elettorali, precedute da una “istruttoria” aspra, come sempre avviene in questi casi, ma con un sovrappiù di normalizzazione e di ridimensionamento, talora umiliazione, di tutte le aree del partito diverse da quella di stretta osservanza renziana.

 Da quattro anni, da quando ha lasciato Palazzo Chigi, Enrico Letta ha parlato poco, ma sempre in modo chirurgico. Da allora a oggi non ha lesinato critiche («assurdo andare al voto anticipato») e neppure stilettate a Matteo Renzi («Racconta un Paese che non c’è») ma non ha mai strappato da quella che definisce «la comunità democratica», a partire da due scelte dirimenti. La prima, il referendum costituzionale: in quella occasione – proprio come Prodi – Letta annunciò che avrebbe votato sì. E in occasione delle Primarie del Pd, dicendo che il suo voto sarebbe andato ad Andrea Orlando, Letta ha confermato di essere restato nell’orbita del Pd, pur non essendone iscritto.

 

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Nei giorni scorsi Enrico Letta aveva confidato di guardare con molta curiosità e pessimismo alle liste elettorali, che sono sempre una cartina di tornasole sulla qualità democratica delle leadership. Nel 2102 Pierluigi Bersani dopo aver convocato in fretta e furia «parlamentarie» molto sommarie, presentò liste che non rispecchiavano le percentuali congressuali (61 per cento per lui, 39 per Renzi) e dopo quel precedente poco edificante, l’attuale leader del Pd aveva promesso in una recentissima Direzione che lui sarebbe stato rispettoso dei pesi interni.

 

Dice Enrico Letta: «Sono attonito per quel che è accaduto. Sia per il merito che per il metodo: durante questo fine settimana si è consumata una vicenda dai contorni tragici». Potrebbe avere conseguenze sulle fortune elettorali del Pd? «Leggo i sondaggi e non soltanto per quelli, sono preoccupato». Ma una vicenda tutta interna, tutta di partito, che impatto può avere sull’opinione pubblica? «Nel rapporto con l’opinione pubblica questa vicenda si traduce in un altro insperato e immeritato regalo a Berlusconi e ai Cinque Stelle. Una incredibile corsa verso l’abisso».

 

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Valutazioni gravi. In vista delle elezioni, già da tempo Letta aveva fatto capire che sarebbe restato fuori della mischia, ma ovviamente ha guardato alla formazione delle liste con un occhio di simpatia per Marco Meloni, unico amico dell’ex premier che abbia continuato a condividere la visione politica del leader, ma anche uno dei deputati più preparati del gruppo Pd. Affiliato alla corrente di Andrea Orlando, nella sua qualità di unico lettiano rimasto su piazza, Meloni aveva due scenari davanti a sé: o il riconoscimento da parte di Renzi di una sorta di diritto di tribuna, ovvero l’accompagnamento alla porta d’uscita.

 

Un bivio eloquente non soltanto per i personali destini di Meloni, ma sintomatico della concezione del pluralismo interno del Pd. Nel passato, durante la Prima Repubblica, le correnti democristiane si scambiarono innumerevoli colpi bassi senza che questo si traducesse in emarginazione per qualcuno dei notabili. Riccardo Lombardi, leader della sinistra socialista, arrivò a sostenere che Bettino Craxi conduceva il Psi seguendo il «Fuehrerprinzip», ma questo non comportò la sua esclusione dalle liste.

 

Ma nel Pd di questi giorni non sembrano valere le regole e neppure le usanze di quei partiti che 25 anni fa sono stati accompagnati alla fine dei loro giorni con rampogne e invettive da parte dell’opinione pubblica. E infatti Meloni, sostenuto dall’area di Andrea Orlando per la quale aveva votato, è stato respinto con perdite. Meloni, «colpevole» di essere seguace dell’eretico Letta, la legge così: «In questo Pd evidentemente non c’è spazio per chi, pur criticando e dissociandosi da alcune scelte, distingue tra un segretario pro tempore e la fedeltà a valori che restano comuni. Nella formazione delle liste è stata premiata soltanto la fedeltà e per farlo si è agito con arbitrio e violenza. Premiando quasi ovunque amici e amiche».

LA STAMPA

 

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