Orlando: “Minoranza Pd rispettata? Renzi non offenda l’intelligenza altrui”

Ancora scioccato per il modo in cui il suo partito ha chiuso la partita delle liste dei candidati, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, leader della minoranza Pd, esce allo scoperto.

Lo fa con una premessa che tiene molto a evidenziare: “Ho detto basta con le polemiche, ora è giusto impegnarsi in campagna elettorale”. Poi però esce allo scoperto, dimostrando che il clima al Nazareno è incandescente: “Faccio un invito agli esponenti della maggioranza: non serve a nulla negare l’evidenza, ma non si torni su questo punto altrimenti dovremo tornarci anche noi”.

Brucia ancora, alla minoranza el Pd, che molti esponenti della minoranza siano stati lasciati a casa, anche tra chi si era messo in luce meritando, sul campo, quantomeno una ricandidatura. Orlando non le manda a dire: “Affermare ad esempio che ci sia Paolo Siani (il fratello del giornalista Giancarlo, ucciso dalla camorra nel 1985, ndr) e che quindi non sono tutti renziani non è fare un torto alle minoranze ma all’intelligenza, perché dire che uno su 900 e passa candidati non sia renziano non dimostra che non lo siano gli altri”.”

Dove ero candidato l’ho scoperto alle 4 del mattino”, ha aggiunto il ministro a margine di un convegno del Garante dei detenuti. Tra l’altro lui è l’unico ministro in carica che è stato candidato solo nel proporzionale. “Ho letto che questa sarebbe una punizione per il mio mancato impegno al referendum, mi auguro che qualcuno lo smentisca perchè questa sarebbe una cosa non rispettosa del pluralismo. Io sono stato uno dei ministri che ha fatto più campagna per il referendum” , ha aggiunto l’esponente del Pd sottolineando: “Pensavo di poter essere utile anche in un collegio uninominale in cui dare un contributo”.

Tra i delusi per la mancata candidatura c’è anche l’ex dalemiano Nicola Latorre, poi diventato fedelissimo di Minniti. Anche lui non l’ha presa bene. In un’intervista al Corriere ha raccontato di essere amareggiato soprattutto per le modalità: “Avevo parlato un mese fa con i due segretari particolari di Renzi, Lotti e Guerini, e non mi avevano segnalato alcuna contrarietà ma tanti apprezzamenti”. Con Renzi in 5 anni di legislatura“non ci ho mai parlato pur avendolo lealmente sostenuto. Solo uno scambio di sms qualche giorno e gli ho sollecitato una riflessione approfondita sulla Puglia. Ero convinto che non ci fossero problemi. E invece né un avviso, né una spiegazione, ma mi rendo conto che ognuno ha il suo stile”. Secondo Latorre il problema è a monte: “Appare evidente che la logica della spartizione sia prevalsa. È stato seguito quasi esclusivamente il criterio delle fedeltà, piuttosto che quello della competenza e della sensibilità dei candidati sui principali problemi del Paese”.

Orlando replica a Latorre. “Va riconosciuto – ha detto Orlando – che è un esperto di sceneggiate, in questo caso però non ha colto il fatto che c’è stato uno scontro vero, reale che ha portato a quello che per noi è un atto estremo, di rottura, cioè non partecipare al voto della lista del proprio partito, una cosa che io non avevo mai messo nel conto di dover fare. Credo che il suo giudizio sia sbagliato, quasi da reazione da amante tradito, convertito al renzismo e in qualche modo non ricambiato di questo amore”.

Ma la delusione che serpeggia tra i democratici è profonda. Sergio Lo Giudice, senatore uscente del Pd, osserva che “di fatto c’è una compressione delle minoranze. Il 30% del partito viene rappresentato nelle liste soltanto dal 10% dei candidati alle prossime elezioni politiche. E’ stata volutamente umiliata una fetta del partito. Ci sono stati dei veti posti da Renzi senza coinvolgere le aree di appartenenza. E’ stata fatta terra bruciata attorno ad Andrea Martella, ex coordinatore della mozione Orlando alle primarie, o anche ad altri candidati di Emiliano, come ai rappresentanti dell’associazione Dems. Non c’era nessuno dei Socialdem. Cesare Damiano si trova in collegio difficilissimo. Nella formazione delle liste è stata bombardata tutta una determinata area politica per impedirne l’esistenza e con il preciso progetto politico di rendere omogeneo il partito che, a questo punto, è diventato qualcosa di molto diverso dal Pd plurale delle origini, nato come soggetto che metteva insieme più poli”. E dopo le elezioni, in base a come andrà, “andrà fatta una riflessione seria interna al partito perché quello che è accaduto con è di certo una novità e un punto di svolta”.

IL GIORNALE

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