Renzi spera di rimontare. Ma i sondaggi lo gelano: sicuri soltanto 5 seggi
Roma – Chiuso il travaglio delle liste, Matteo Renzi ha fretta di lasciarsi alle spalle le feroci polemiche di questi giorni e di buttarsi nella campagna elettorale.
E comincia dal tinello domenicale di Domenica Live, ospite di Barbara D’Urso. Mirando con decisione al cuore di quel target, anziano e femminile, che guarda la tv del pomeriggio festivo. Nella conferenza stampa di sabato sera aveva annunciato una «riunione domattina con degli spin doctor speciali», eccitando la fantasia dei cronisti. «Dopo tutti questi giorni di campagna politica devastante – rivela a Canale 5 – sono tornato a casa mia. E anziché fare come tutti gli altri, che si prendono gli spin doctor, ho pensato: vado a farmi un bagno di realtà». Da chi? «Dalle mie nonne», Maria e Annamaria, 98 e 88 anni. «È un modo per rimettere in fila la giusta gerarchia di valori: vai dalle nonne, che hanno vissuto la guerra, e capisci che questo è un grande Paese, i nonni lo hanno salvato. Ripartiamo da lì, dai valori veri».
Una captatio benevolentiae verso l’ambito segmento elettorale, assai ampio, dei «nonni»: quelli che difficilmente si rifugeranno nell’astensionismo, come i nipoti, e che tendenzialmente possono apprezzare quella «svolta centrista» del Pd denunciata con veemente indignazione dalle minoranze interne, da D’Alema e Grasso e dai salotti mediatici della sinistra.
I pronostici elettorali, al momento, sono assai pessimistici: un sondaggio Ixè di ieri dava il Pd a quota 22%, con un potenziale di 130 seggi alla Camera più 61 al Senato. «Paghiamo lo scotto di giorni di polemiche, alimentate dai media, sulla formazione delle liste», ammettono nel Pd. Ma soprattutto, il sondaggio conferma una tendenza già registrata, che vede il centrosinistra perdente nella partita dei tre blocchi sui collegi uninominali, che fa saltare gli schemini sulla distribuzione dei seggi «sicuri»: quelli giudicati certi per il Pd, secondo Ixè, sono solo 5 in tutta Italia, 3 alla Camera e 2 al Senato.
Numeri tutti virtuali, certo, mentre manca ancora più di un mese al voto. Ma sufficienti a capire che la strada sarà in salita, e a spiegare perché il segretario abbia voluto forzare la mano con decisione nella compilazione delle liste, falciando le correnti e assicurandosi (come del resto, da che le liste elettorali sono liste elettorali, fanno tutti i segretari di partito) una pattuglia parlamentare di lealisti, da manovrare nei marosi di un complicato dopo-voto. Scontando, si intuisce, anche la possibilità di una nuova scissione: al Nazareno hanno interpretato l’improvviso gran rifiuto di Gianni Cuperlo, che ha rinunciato al collegio sicuro di Sassuolo, come un preannuncio: una pezzo di partito, segnatamente quello di provenienza ex Pci ridotto ai minimi termini, si mette sull’Aventino. Pronto alla rottura se, come ripete da tempo ai suoi Andrea Orlando, «dopo il voto Renzi trasformerà il Pd in una bad company per fare un partito centrista macroniano». Dopo il 4 marzo «sarà il tempo degli addii», avverte l’ex Ds siciliano Cracolici. Renzi sa che potrebbero partire manovre di vario genere: «D’Alema punta a riprendersi il Pd se perderemo. E quel genio di Grasso pensa di fare il premier di un governo che, nei suoi disegni, dovrebbe essere sostenuto da grillini, Leu e un Pd derenzizzato», confida. L’unico argine è una tenuta sostanziale del partito e della sua mini coalizione: «Se restiamo attorno al 25% saremo ancora in gioco». Se il Pd crolla, a giocare saranno solo Berlusconi e Grillo.
IL GIORNALE