Alla Camera la maggioranza è un rebus. Ma al Senato le larghe intese governano

Gabriele Martini
torino
 

Settimane di campagna elettorale a dibattere di larghe intese. Berlusconi ci pensa, Renzi non le esclude, Salvini le agita come uno spauracchio, Di Maio le evoca gridando al «grande inciucio». Eppure i numeri, pallottoliere alla mano, raccontano una storia diversa. Questa: è probabile che nel nuovo Parlamento, almeno sulla carta, non ci sarà alcuna alleanza post voto in grado di garantire una qualche maggioranza. Alla Camera – se i sondaggi non mentono – la somma dei deputati di Partito democratico, alleati dem, Forza Italia e quarta gamba del centrodestra si ferma a quota 298. Mancherebbero una ventina di voti per superare la soglia magica dei 315, quella che permette di governare. Tuttavia l’unica strada per scongiurare il rischio paralisi resta l’accordo tra Renzi e Berlusconi: una buona fetta dei 12 eletti nella circoscrizione estero potrebbero dare una mano e a quel punto basterebbe racimolare un altro paio di voti per far nascere un governo.

 

 

Le regole

Prima di addentrarsi a ragionare sui rapporti di forza nella prossima legislatura, conviene fare un passo indietro. Il Rosatellum – la legge elettorale con cui si va a votare il 4 marzo – funziona così: la maggior parte dei seggi di Camera e Senato saranno ripartiti tra i partiti con meccanismo proporzionale. Eppure è nei collegi uninominali che passerà la differenza tra una vittoria e una sconfitta. In questi collegi (che assegneranno poco più di un terzo dei seggi totali di entrambi i rami del Parlamento) chi prende un solo voto in più degli avversari conquista la poltrona in Parlamento.

 

Le mappe

Lo strumento per provare a capire che cosa succederà dopo il 4 marzo è l’algoritmo di YouTrend, che assieme alla società Reti ha creato il sito rosatellum.info, piattaforma con tutti i dati elettorali e socio-economici dei collegi. I colori delle mappe che pubblichiamo qui a fianco mostrano qual è la coalizione favorita nei collegi della Camera e in quelli del Senato: il colore più intenso indica un vantaggio netto (superiore al 10%); la tonalità intermedia fotografa una forchetta tra il 5 e il 9,99%; la gradazione più tenue, infine, mostra uno scarto inferiore ai cinque punti percentuali. Secondo il calcolatore – che proietta le attuali intenzioni di voto nazionali e regionali nei vari collegi basandosi sulla distribuzione delle elezioni passate – se gli attuali equilibri saranno confermati dalle urne, nessuna alleanza sarà in grado di garantire la governabilità.

 

 

 

Metterci la faccia

L’obiezione è lecita: la scelta nei collegi uninominali dipende dalla caratura dei candidati che si giocheranno la poltrona. «Si vota la persona, non il partito», ripetono i politologi. È vero solo in parte. Un sondaggio di qualche giorno fa realizzato da Tecnè fotografa una fedeltà inaspettata da parte dell’elettorato nei confronti della coalizione: anche se il candidato del collegio uninominale fosse persona «molto sgradita», quasi sei su dieci affermano di essere disposti a votarlo comunque. Mentre solo uno su quattro sostiene che voterebbe per il candidato di un altro partito.

 

Alleanze “secondo natura”

La fotografia dell’Italia che potrebbe uscire dalle urne del 4 marzo è un monocolore blu al Nord, dove i candidati di Forza Italia e Lega viaggiano con vantaggi rassicuranti. Il centrodestra è favorito anche al Sud, soprattutto in Campania. Il Pd è competitivo solo nelle regioni rosse, oltre che in alcuni collegi metropolitani e in Trentino-Alto Adige grazie all’alleanza con la Südtiroler Volkspartei. I grillini sono favoriti nei collegi della Sardegna e potrebbero conquistare anche qualche seggio in Sicilia e nelle città simbolo del Movimento 5 Stelle: Roma, Torino, Genova.

 

Il centrodestra rimane quindi largamente in testa come coalizione e secondo l’elaborazione potrebbe portarsi a casa oltre il 60% dei collegi uninominali in palio: alla Camera ben 143 seggi contro i 49 del centrosinistra e i 40 del Movimento 5 Stelle. Basteranno per governare? La risposta, almeno per ora, è no. Sommando i seggi conquistati nei collegi plurinominali del proporzionale il conteggio si ferma a 290: significa che alla coalizione di Berlusconi e Salvini mancherebbero comunque 25 seggi per acciuffare la maggioranza assoluta. Nessuna chance per la potenziale alleanza a sinistra tra Pd e Liberi e Uguali: il totale dei deputati sarebbe di 179.

 

Alleanze “contro natura”

Anche per i grillini la via che porta al governo è a dir poco in salita: il soccorso di Grasso sarebbe numericamente esiguo (26 deputati), ma pure un’alleanza post elettorale con la Lega sarebbe destinata a rimanere minoritaria (254 seggi in totale). Perfino sommando a quest’ultima i deputati di Fratelli d’Italia, l’improbabile raggruppamento trasversale di stampo anti-europeista si fermerebbe a quota 294.

 

Ecco perché, a un mese dal voto, lo scenario più gettonato resta il “Renzusconi”. Al Senato i numeri ci sono già: qui – sempre secondo l’elaborazione di YouTrend – l’ipotesi larghe intese potrebbe contare su 155 senatori, appena tre in meno dei 158 necessari a formare una maggioranza. E i voti mancanti potrebbe essere agilmente pescati tra i parlamentari eletti all’estero (sei in totale), dove centrodestra e centrosinistra sono favoriti rispetto al M5S.

LA STAMPA

 

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