Elezioni, nella battaglia dei collegi alla Camera comanda il centrodestra
di LAVINIA RIVARA. Con un contributo di SALVATORE VASSALLO
La partita per il governo il centrodestra se la gioca tutta in 87 maledettissimi collegi uninominali sui 232 totali, quelli dove la vittoria della coalizione di Berlusconi, Salvini e Meloni è possibile ma non certa. Al centrodestra, che parte da un bottino sicuro di 259 seggi (115 uninominali), basta conquistare 57 di quei collegi per avere la maggioranza di 316 deputati a Montecitorio.
Al Pd, che conta su 133 seggi blindati (24 uninominali) non resta che sperare che la battaglia al Sud tra 5Stelle e centrodestra volga a favore dei primi, che partono da 112 possibili deputati (solo 4 nell’uninominale). Magari non troppo, perché Renzi punta al gruppo parlamentare più numeroso per restare in partita se il centrodestra fallisce la maggioranza assoluta.
A questo risultato approda la simulazione elaborata da Salvatore Vassallo, ordinario di Scienza politica all’Università di Bologna, che pubblichiamo oggi fotografando i rapporti di forza tra i tre principali poli in tutti i collegi uninominali della Camera, (domani quelli del Senato).
Lo studio si basa solo sui sondaggi delle ultime due settimane, ma anche sui flussi da un partito all’altro applicati ai risultati delle politiche 2013 in ogni collegio del Rosatellum. Naturalmente si tratta di stime approssimative e, al netto del normale margine di errore statistico, gli elettori possono riservare sorprese.
I collegi segnalati in blu sono da considerare ‘sicuri’ per il centrodestra; quelli in rosso per il centrosinistra; quelli in giallo per il Movimento 5 Stelle. Tutti gli altri sono contendibili tra due o tre candidati: cliccate sul collegio per vedere le percentuali e quale coalizione è effettivamente in corsa o meno.
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Il Mezzogiorno. Il centrodestra parte da un vantaggio di 144 seggi sicuri nelle liste proporzionali e di 115 nell’uninominale. Totale: 259 deputati. Per arrivare a quota 316 gliene servono almeno 57. Dove può prenderli? Il terreno per fare nuove conquiste è soprattutto il Mezzogiorno, visto che al Nord la coalizione sembra già molto forte.
In particolare, come si vede dai dati delle singole regioni, è in Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia e Basilicata che la partita sembra apertissima, con quasi tutti i collegi, 31 per l’esattezza, ancora da assegnare (in giallo).
Ma a contenderseli con il centrodestra sono solo i 5Stelle, mentre la coalizione di centrosinistra perderebbe ovunque (in rosso). Un destino che sembra toccare anche le contestate candidature di Viceconte e Mancini.
Il Centro. L’alleanza di destra è forte anche nel centro. Neanche i seggi di Gentiloni e Madia a Roma sono blindati. In Campania avrebbe 17 collegi sicuri su 22 e i 5 in bilico se li contende ancora con i grillini, con i quali la partita è apertissima anche in quattro collegi dell’Abruzzo. In Campania sembrano destinati alla sconfitta col centrosinistra anche il pediatra Paolo Siani, il maestro Rossi Doria, il figlio di De Luca(Piero), e il nipote di De Mita (Giuseppe). Blindato invece appare Sgarbi ad Acerra.
Già espugnati dal centrodestra anche 10 collegi nel Lazio, cioè la metà. Ma qui in diversi casi l’avversario è il Pd. Anche se non ce la dovrebbero fare né Fioroni, né Fattorini e l’unica in pole per la vittoria è Prestipino.
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Le roccaforti rosse. In Toscana e in Emilia la situazione si ribalta, ma non al punto da poter dire che il Pd fa cappotto. Nella terra renziana può contare su nove collegi blindati su 14, tra cui quelli di Padoan, Lotti, Giachetti, Romano, Di Giorgi, Della Vedova (+Europa). Ma è in bilico Donati nella Arezzo di Banca Etruria. A Massa doverebbe farcela invece Bergamini, fedelissima del Cavaliere e a Lucca Zucconi(Fdi).
In Emilia il centrosinistra ne avebbe di sicuri 10 su 17, tra cui quelli di De Vincenti, Delrio e Lorenzin (Civica popolare). Non così blindato invece il collegio di Ferrara dove corre il ministro Franceschini: è quotato al 35%,mentre la sua avversaria,la leghista Tomasi, al 31%. Del resto sono sempre i leghisti ad insidiare in altri 5 collegi il centrosinistra.
In entrambe le regioni infatti i 5Stelle non toccano palla, ad eccezione di Rimini dove la grillina Sarti ha qualche chance. In Umbria e Marche la corsa è apertissima. A Pesaro il ministro Minniti viene dato al 33% e deve vedersela sia con il 5Stelle Cecconi che con la forzista Renzoni. Perchè mentre in Umbria i pentastellati sono fuori, nelle Marche spesso la contesa è ancora a tre.
Il Nord. Nei 37 collegi della Lombardia il centrodestra fa filotto al netto della decisione della Corte d’Appello di Milano sui 15 candidati di ‘Noi con l’Italia’ al momento esclusi (tra loro Michela Vittoria Brambilla): solo due sono in bilico a Sesto San Giovanni e a Milano 2; qui la dem Quartapelle cerca di battere la leghista Molteni. Blindate le azzurre Brambilla, Gelmini e Ravetto. Situazione analoga in Veneto. Una sfilza di collegi blu, esattamente 17 su 19 e tra questi il seggio di Brunetta. Il Pd prova a combattere solo a Venezia e a Padova.
Il quadro non cambia in Friuli: 4 seggi su 5 a Lega e FI; a Goriza l’unica speranza per i dem. In Piemonte la situazione è più fluida: il centrodestra può contare su nove collegi, quasi tutti leghisti, mentre altri otto se li litiga con gli altri due poli. Quadro complicato anche in Liguria: il centrodestra si aggiudica due collegi, i dem se la giocano in quattro e i grillini in tre. Valle d’Aosta non considerata perché esclusa dai sondaggi. Infine il Trentino: il Pd grazie al patto con Svp prende tre seggi , tra cui quello dell’ex ministra Boschi, gli altri tre se litiga con la Lega.
IL VANTAGGIO DEL CENTRODESTRA E LA CENTRALITÀ DEL PD
di SALVATORE VASSALLO *
Le simulazioni qui pubblicate non derivano da un singolo sondaggio ma sono il prodotto di una mia personale elaborazione, svolta sulla base di una molteplicità di fonti, tra cui anche i dati di due rilevazioni campionarie cortesemente messe a mia disposizione da SWG, da cui ho ricavato una “matrice dei flussi”, cioè degli spostamenti dell’elettorato da un partito all’altro, differenziati per macro-aree, che ho applicato ai risultati elettorali del 2013 in ciascun collegio del Rosatellum.
Il modello è stato costruito assumendo che ogni partito ottenga sul piano nazionale un risultato pari a quello previsto dalla media dei sondaggi sulle intenzioni di voto pubblicati nelle ultime due settimane. Assume quindi anche che le varie liste minori alleate del Pd e la “quarta gamba” del centrodestra non superino la soglia del 3% ma, prendendo poco più dell’1%, portino in dote questi voti ai partiti maggiori sul proporzionale in cambio di qualche seggio in collegi uninominali sicuri.
Naturalmente, non è affatto detto che il 4 marzo gli italiani voteranno così. E cambiamenti di pochi punti percentuali, dentro il normale margine di errore statistico, possono produrre variazioni importanti nella ripartizione dei seggi. Presumo però che anche altri analisti o istituti abbiano usato una tecnica simile e che quindi i risultati della mia analisi non siano tanto distanti da quelli presi a riferimento dai dirigenti di partito per compilare le liste.
Dalle tabelle relative ai singoli collegi si capisce, dunque, quali sono i candidati che leader e capicorrente hanno scelto di privilegiare, quali candidati sono finiti in collegi persi in partenza, quali in collegi in bilico, in cui dovranno combattere se vogliono conquistare il seggio. Possono anche essere lette come una stima del vantaggio o dell’handicap con cui ciascun candidato si presenza ai nastri di partenza. Da questo punto di vista, forniscono un parametro in base al quale si potrà valutare “se e quanto” ciascun candidato avrà contribuito, in positivo o in negativo, al risultato finale.
Il modello che ho adottato produce una stima puntuale del risultato atteso di ciascuna coalizione in ogni singolo collegio. Ma si tratta di stime che vanno prese come approssimazioni spannometriche.
La definizione di ‘collegio sicuro’ indica una vittoria annunciata. Vuol dire che il candidato in questione parte favorito, ad una distanza dal secondo di almeno cinque punti percentuali. ‘Collegio in bilico’ indica che due o tre candidati sono all’interno di un margine ridotto, e quindi quel collegio è contendibile. Un collegio può essere considerato ‘perso’ per un candidato che parte con un handicap di almeno cinque punti rispetto al favorito.
Non bisogna dimenticare che nei collegi uninominali si assegna solo il 37% dei seggi. Per l’assegnazione di tutti gli altri, su base proporzionale, vale la percentuale di voti presa da ciascun partito e l’ordine di presentazione dei candidati nelle liste dei collegi plurinominali. Siccome la stessa persona può essere candidata contemporaneamente in un collegio uninominale e in cinque collegi plurinominali, alcuni dei candidati che appaiono senza speranze nell’uninominale, hanno in realtà già in tasca il biglietto per i palazzi romani grazie alla posizione in lista.
La previsione dei “seggi sicuri” nella quota proporzionale è in alcuni casi più semplice e certa, in altri assolutamente aleatoria. Ad esempio, i capilista del PD e del M5S, salvo sconquassi, sono quasi tutti blindati. In molte circoscrizioni lo sono anche i secondi o i terzi. Ma quando si arriva alla assegnazione dei seggi sulla base dei cosiddetti “resti” inizia una specie di lotteria i cui meccanismi sfuggono anche ad alcuni professionisti del settore. Si intende: i “professionisti” che hanno compilato le liste conoscono abbastanza bene questi tranelli e usano l’alea sottostante per persuadere i candidati meno informati ad accettare posizioni scomode oppure per piazzare in posizioni solo apparentemente insicure candidati che intendono garantire.
Un ulteriore fattore che rende poco trasparente l’ordine di lista è costituto dalle candidature multiple. Nei partiti piccoli come Liberi e Uguali o Fratelli d’Italia sono comprensibilmente utilizzate dai leader per trainare voti e per mettersi in tasca più biglietti della “lotteria”. Nei partiti grandi viene usata anche per aggirare le norme sull’equilibrio di genere. Se, come capita spesso, i maschi a cui si vuole garantire il seggio sono in numero superiore alle donne, che si fa? Si candidano donne nemmeno così note in due o più collegi plurinominali in posizione sicura. Non per garantire con assoluta certezza la loro elezione (per quello basterebbe che fossero messe in posizione sicura in una sola lista), né perché attraggano voti. Ma perché così, risultando già elette in un collegio, fanno scorrere la lista negli altri collegi plurinominali a vantaggio dei candidati maschi che seguono. Quindi, candidati che appaiono collocati in posizione non eleggibile, sono in realtà destinati ad entrare in Parlamento.
Quanto al risultato complessivo, se le tendenze nelle intenzioni di voto rilevate ormai da qualche settimana con una certa regolarità si dovessero stabilizzare, rimane una sola incognita, politicamente molto rilevante.
Pare assodato che 5 Stelle e Pd siano troppo distanti dal centrodestra per arrivare primi. L’unico quesito è se la coalizione elettorale messa insieme da Berlusconi otterrà oppure no la maggioranza assoluta dei seggi. Nel primo caso non solo potrà ma – anche contro le aspettative di alcuni suoi leader – dovrà per forza di cose diventare una coalizione di governo.
Se invece la maggioranza non c’è, il Pd, anche con un cattivo risultato in termini percentuali, potrebbe mantenere un ruolo centrale in qualsiasi tentativo di tenere in vita la legislatura con un governo “di continuità”, di “larghe intese” o con “un governo per la riforma dell’Unione Europea” sulla linea Merkel-Macron.
Ad oggi, il centrodestra sembra molto vicino al risultato. Se prendessi completamente sul serio, fino ai decimali, le intenzioni di voto rilevate dai sondaggi e il mio modello di simulazione, dovrei dire che lo ha raggiunto: di pochissimo alla Camera e con un margine un po’ più ampio al Senato.
Mi pare più realistico assumere che l’esito finale sarà deciso in quei circa ottanta collegi uninominali della Camera e nei circa trenta collegi uninominali del Senato che risultano contendibili per il centrodestra. Se li prende tutti, ottiene una confortevole maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Più o meno la metà di questi seggi sono contesi tra il centrodestra e il centrosinistra nel Lazio e nel Nord, l’altra metà sono contesi tra il centrodestra e i Cinque Stelle nel Sud. Quindi, per uno strano paradosso, la centralità parlamentare del “Pd di Renzi” è appesa al successo elettorale del “partito di Di Maio”.
* Salvatore Vassallo è professore ordinario nell’Università di Bologna, dove insegna Scienza politica e Analisi dell’opinione pubblica.
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