Leucemia, per la prima volta in Italia bambino salvato dalla terapia genica

di LETIZIA GABAGLIO e TINA SIMONIELLO

LA TECNOLOGIA CarT comincia a dare i suoi frutti. E sono risultati insperati per pazienti che fino a qualche mese fa non avevano possibilità di guarigione. Arrivano infatti oggi due notizie che confermano la validità di questo approccio avvenieristico contro alcuni tumori del sangue: l’Ospedale Bambino Gesù di Roma annuncia di aver trattato il suo primo paziente, un bambino di 4 anni malato di leucemia linfoblastica acuta, mentre in contemporanea sul New England Journal of Medicine vengono pubblicati i risultati a più lungo termine della tecnologia su 75 pazienti affetti dalla stessa malattia.

. CAR-T
Sperimentata per la prima volta con successo nel 2012, negli Stati Uniti, questa tecnologia è ora allo studio in diverse sperimentazioni in tutto il mondo, alcune delle quali hanno portato pochi mesi la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia del governo americano che si occupa di regolamentare i prodotti immessi nel mercato, ad approvare il primo farmaco a base di CAR-T sviluppato dall’industria farmaceutica.

Ma cosa sono le cellule CAR-T? Si tratta dei linfociti T degli stessi pazienti in cura, che una volta prelevati vengono modificati geneticamente in laboratorio utilizzando specifici virus che li forniscono di recettori diretti contro antigeni tumorali, e che di fatto ne potenziano sostanzialmente l’attività anticancro. Così rimaneggiate, le cellule T CAR (CAR sta per Chimeric antigen receptor) vengono re-infuse negli stessi pazienti da cui erano state prelevate. 

. IL PRIMO PAZIENTE ITALIANO
Il primo paziente italiano è un un bambino di 4 anni affetto da leucemia linfoblastica acuta, per il quale le terapie convenzionali non funzionano: aveva già avuto 2 ricadute della malattia, la prima dopo trattamento chemioterapico, la seconda dopo un trapianto di midollo osseo da donatore esterno. E’ il primo paziente italiano curato con questo approccio rivoluzionario all’interno di uno studio accademico, promosso dal ministero della Salute, Regione Lazio e AIRC, ed eseguito all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. E oggi, a un mese dall’infusione delle cellule riprogrammate nei laboratori dell’ospedale romano, i medici che lo hanno in cura hanno reso noto che il piccolo paziente sta bene ed è stato dimesso: nel midollo non sono più presenti cellule leucemiche.

“Per questo bambino – spiega  Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Terapia Cellulare e Genica del Bambin Gesù – non erano più disponibili altre terapie potenzialmente in grado di determinare una guarigione definitiva. Qualsiasi altro trattamento chemioterapico avrebbe avuto solo un’efficacia transitoria o addirittura un valore palliativo. Grazie all’infusione dei linfociti T modificati, invece, il bambino oggi sta bene ed è stato dimesso. È ancora troppo presto per avere la certezza della guarigione, ma il paziente è in remissione: non ha più cellule leucemiche nel midollo. Per noi è motivo di grande gioia, oltre che di fiducia e di soddisfazione per l’efficacia della terapia. Abbiamo già altri pazienti candidati a questo trattamento sperimentale”.

. LA TECNICA ITALIANA
L’approccio adottato dai ricercatori del Bambino Gesù differisce parzialmente da quello nord-americano. Diversa è la piattaforma virale utilizzata per la trasduzione delle cellule, per realizzare cioè il percorso di modificazione genetica. Diversa è la sequenza genica realizzata, che prevede anche l’inserimento della Caspasi 9 Inducibile (iC9), una sorta di gene “suicida” attivabile in caso di eventi avversi, in grado di bloccare l’azione dei linfociti modificati. E’ la prima volta che questo sistema, adottato grazie alla collaborazione dell’Ospedale con Bellicum Pharmaceuticals, viene impiegato in una terapia genica a base di CAR-T: una misura ulteriore di sicurezza per fronteggiare i possibili effetti collaterali che possono derivare da queste terapie innovative.

Diversa, infine, è la natura della sperimentazione. L’infusione del primo paziente al Bambino Gesù, infatti, è il frutto di quasi tre anni di lavoro di ricerca pre-clinica all’interno di un trial di tipo accademico, non industriale. Il processo di manipolazione genetica e la produzione del costrutto originale realizzato per l’infusione – un vero e proprio farmaco biologico – avvengono interamente all’interno dell’Officina Farmaceutica (Cell Factory) del Bambino Gesù a San Paolo, autorizzata per quest’attività specifica dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Il processo di produzione dura 2 settimane, a cui vanno aggiunti circa 10 giorni per ottenere tutti i test indispensabili per garantire la sicurezza del farmaco biologico che si va ad infondere nel paziente per via endovenosa.

. USA: I RISULTATI SU 75 PERSONE
Lo studio pilota pubblicato oggi su New England Journal of Medicine si riferisce invece a 75 bambini e giovani adulti affetti da una forma di leucemia linfoblastica acuta ad alto rischio e ha dimostrato che le alte percentuali di remissione associate alla cura con tisagenlecleucel, il trattamento con CAR-T di Novartis approvato lo scorso agosto dalla FDA statunitense, possono portare a una remissione duratura e una sopravvivenza a lungo termine. Il tisagenlecleucel è il primo trattamento a base di cellule CAR-T approvato dall’FDA per la cura di pazienti pediatrici con leucemia linfoblastica acuta a cellule B resistente ai trattamenti tradizionali o recidivante. L’autorizzazione dell’ente di controllo statunitense venne accordata sulla base dei risultati di ELIANA, uno studio condotto in 25 ospedali di 11 paesi di tutto il mondo, tra cui l’Italia.

Tutti e 25 i pazienti sono seguiti al Children’s Hospital di Philadelphia, il primo istituto ad aver utilizzato questa forma d’immunoterapia nei pazienti pediatrici. Ebbene 61 di loro (cioè l’81%) ha risposto al trattamento con una remissione completa dopo almeno tre mesi di follow-up. La sopravvivenza libera da recidive in questi 61 pazienti è stata dell’80% a sei mesi dal trattamento, e del 59% a 12 mesi. La sopravvivenza globale in tutti i 75 pazienti del 90% a sei mesi e del 76% a un anno.

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.UNA SOLA INFUSIONE
.”Lo studio fornisce un’ulteriore prova di quanto questo trattamento può essere straordinario per i giovani pazienti sui quali tutti gli altri approcci hanno fallito”, ha dichiarato l’autore principale dello studio, Shannon L. Maude, oncologa pediatra al Children’s Hospital di Philadelphia e assistant professor di pediatria all’Università della Pennsylvania. “I nostri dati indicano che non solo possiamo ottenere una remissione duratura e una sopravvivenza a lungo termine per i nostri pazienti, ma che queste cellule personalizzate e antitumorali possono rimanere nell’organismo per mesi o anche anni, continuando a fare il loro lavoro efficacemente”. Tutti i pazienti arruolati hanno in effetti ricevuto una singola infusione di cellule CAR-T che, stando ai risultati, hanno dimostrato di continuare ad agire anche per 20 mesi.

.LE PROSPETTIVE
Molti sono gli studi che in questi mesi vengono condotti in tutto il mondo su questa tecnologia. L’Officina Farmaceutica del Bambino Gesù ha completato la preparazione delle cellule per un adolescente affetto dalla stessa malattia, la leucemia linfoblastica acuta, mentre è in corso la preparazione di CAR-T anche per una bambina affetta da neuroblastoma, il tumore solido più frequente dell’età pediatrica. Anche in questo caso, il protocollo di manipolazione cellulare e il suo impiego clinico sono stati approvati dall’Agenzia Italiana del Farmaco. “L’infusione di linfociti geneticamente modificati per essere reindirizzati con precisione verso il bersaglio tumorale rappresenta un approccio innovativo alla cura delle neoplasie e carico di prospettive incoraggianti. Certamente siamo in una fase ancora preliminare, che ci obbliga ad esprimerci con cautela – conclude Locatelli – . A livello internazionale sono già avviate importanti sperimentazioni da parte di industrie farmaceutiche. Ci conforta poter contribuire allo sviluppo di queste terapie anche nel nostro Paese e immaginare di avere a disposizione un’arma in più da adottare a vantaggio di quei pazienti che hanno fallito i trattamenti convenzionali o che per varie ragioni non possono avere accesso ad una procedura trapiantologica” .

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