Il colosso Usa della finanza ​scommette contro l’Italia

Ci risiamo. A un mese dalle elezioni, gli investitori internazionali scommettono contro l’Italia.

Bridgewater, il maggior fondo hedge al mondo che gestisce 160 miliardi di dollari, ha scommesso contro il listino italiano 3 miliardi di dollari, poco meno dello 0,5% della capitalizzazione di Piazza Affari. E non è il solo. Anche Aqr Capital, Marshall Wace, Farringdon, Kairos Investment, Kite Lake Capital, Engadine Partners, Wellington, Menta Capital, Discovery Capital, Lansdowne Partners, Pdt Partners, BlueMountain Capital, Oxford Am, tra gli altri, hanno puntato contro Palazzo Mezzanotte. E la lista si allunga, letteralmente, di giorno in giorno prendendo di mira, soprattutto, banche e assicurazioni che sono maggiormente esposte al rischio Paese. Dall’estero temono l’incertezza politica in vista del 4 marzo. Ma questa volta, secondo Massimo Saitta direttore degli investimenti di Intermonte Advisory e gestioni, potrebbero fare un buco nell’acqua.

Più in dettaglio, secondo i calcoli di Bloomberg, Bridgewater ha triplicato da ottobre ad oggi la sua posta contro i titoli tricolore (da 1,1 a 3 miliardi di dollari) replicando quasi fedelmente il listino principale e vendendo allo scoperto i titoli di Intesa Sanpaolo (per l’1% del capitale), Enel e Eni (per lo 0,9% del capitale), Unicredit, Banco Bpm, Bper e Prysmian (per lo 0,7% del capitale), Generali, Azimut, Ubi e Unipol (per lo 0,6% del capitale), Terna, Snam, Mediobanca, Moncler, Leonardo, Finecobank e Atlantia (per lo 0,5% del capitale).

«L’operazione, la vendita allo scoperto, è tutt’altro che banale: si guadagna scommettendo sul ribasso di uno o più titoli, sempre che un simile movimento poi si concretizzi», spiega Vicenzo Longo di Ig che poi aggiunge: «Il fondo affitta dei titoli che poi vende sul mercato e si impegna a restituirli a una determinata scadenza alla controparte. La prospettiva dell’investitore è quindi quella di guadagnare sull’atteso ribasso dei titoli». Anche se, in un caso come questo, si può dire che Bridgewater stia scommettendo contro un intero Paese. D’altro canto, come sottolinea Longo, «sull’Italia è sempre stato piuttosto semplice speculare perché è un mercato poco liquido e di dimensioni tutto sommato modeste. Siamo vulnerabili». Lo insegna il caso di Deutsche Bank, che nel 2011 ha venduto titoli di stato italiani per 7 miliardi generando il panico e portando alla fine l’Italia sull’orlo del baratro o, prima ancora, la speculazione di George Soros contro la lira nel 1992 quando il raider vendette allo scoperto lire italiane costringendo la Banca d’Italia a svalutare del 30% la nostra valuta.

Bridgewater ha iniziato a vendere titoli tricolori, e in particolar modo Intesa Sanpaolo, Unicredit, Eni ed Enel già ad ottobre. «Ma finora non gli è andata bene. È probabile che abbia aumentato la posta cercando di trarre vantaggio dall’incertezza elettorale», commenta Saitta. Nel frattempo, Intesa Sanpaolo ha guadagnato oltre il 10% e Unicredit il 9%. E anche il risultato finale, nonostante le massicce cifre investite contro il Paese, potrebbe non essere scontato. «Si tratta di un’operazione vecchio stile, scolastica. Ma il mondo è dal 2011» commenta Saitta secondo cui «l’incertezza politica oggi pesa meno di qualche anno fa perché i mercati in ripresa e lo ha dimostrato, in questi ultimi mesi, anche la Germania». Per questo, conclude l’esperto, «anche se a febbraio il mercato dovesse rallentare dopo il rally degli ultimi mesi, non vedo motivi di panico».

IL GIORNALE

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