Il candidato M5S amico degli Spada in affitto a 7,7 euro nella casa comunale

È sempre lui. Emanuele Dessì, il candidato del Movimento 5 Stelle per il collegio Lazio 3.

Prima è finito nella bufera per un video postato sui social network in cui ballava con un esponente del clan Spada (guarda qui). Poi è stata la volta di un post su Facebook in cui si vantava di “menare i romeni”. Oggi il terzo atto. Come rivelato nei giorni scorsi da Repubblica e rilanciato ieri sera da PiazzaPulita su La7, il grillino abiterebbe “in una casa popolare, di proprietà dell’Ater, ricevuta in affitto dal Comune di Frascati dove Dessì vive e per due anni ha fatto pure il consigliere comunale, pagando un canone irrisorio: 7,75 euro al mese, pari a 93 euro l’anno”.

Il Movimento 5 Stelle è già in subbuglio. Le accuse mosse a Dessì sono gravi e incontrovertibili. L’amicizia con l’esponente della famiglia Spada, condannato a sette anni e mezzo di carcere per estorsione e usura, è un macigno senza precedenti. “La foto con Spada non conta nulla – ha commentato Alessandro Di Battista – lo stesso ministro Delrio premiava un pugile della stessa famiglia in un’altra foto. Credo sia dovere indagare a proposito dell’affitto, bisogna andare a fondo”. Adesso, però, Dessì dovrà pure spiegare come mai paga un affitto di appena 7,75 euro al mese per una casa popolare che gli è stata assegnata dallo stesso Comune in cui faceva il consigliere comunale. Il caso, tirato fuori da Repubblica, è molto simile a quei comportamenti da Casta contro cui Beppe Grillo e compagni hanno sempre tuonato.

Secondo Repubblica, non sarebbe del tutto chiaro come la casa dell’Ater sia finita in mano a Dessì. Dalle dichiarazioni al fisco il grillino risulta senza reddito. Peccato che “sia amministratore di una piccola ditta di traslochi e, per sua stessa ammissione, istruttore di pugilato nelle palestre”. Non solo. Come fa notare ancora Repubblica, il contratto dell’appartamento sarebbe stato “inizialmente intestato alla nonna” che lì viveva con la madre del candidato M5S e, poi, sarebbe “passato a Dessì come se non si trattasse di un bene pubblico, ma di una proprietà privata”.

IL GIORNALE

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