“Troppe partigianerie sul caos immigrazione Mancano regole certe”

La bolla che esplode fuori dal centro, lontano dalle case borghesi, dai salotti radical che teorizzano l’accoglienza ma non la vivono.

Non la subiscono. Il ghetto si fa nelle periferie delle città. Nei piccoli centri. I problemi veri sono qui. Qui dove lo straniero si nota di più; magrebini, cinesi, africani, ucraini, rumeni. In mezzo qualche manciata di italiani. Vetrine con scritte illeggibili, agli angoli chi chiede elemosina, chi spaccia tra degrado e scarsi controlli. Il senso che lo Stato è lontano, case popolari occupate e prese d’assalto da chi è più forte. La legalità che sfuma. È qui dove l’immigrazione diventa problema, la sfida all’integrazione diventa difficile, troppo spesso una scommessa persa, perché integrare fa sempre più rima invece con emarginare. «E dove uno Stato serio dovrebbe avere delle idee chiare e fare rispettare le regole». Il sociologo Mauro Magatti è attento a non essere coinvolto nella mischia delle fazioni. «Non voglio che il mio pensiero venga confuso, tirato per la giacchetta, né da una parte né dall’altra. Perché strumentalizzare è il male peggiore in Italia in questo momento».

Addirittura?

«La partigianeria di cui è affetta in questo momento la politica nel nostro Paese offusca un discorso su un tema così serio come l’immigrazione. E abbiamo visto che non affrontare in un certo modo questi temi porta a degenerazioni pericolose. Il Paese è chiaramente sotto stress, messo a dura prova da uno sforzo notevole di accoglienza: cinque, sei milioni di immigrati negli ultimi vent’anni. Sono tanti. Ma sembrano molti di più se mancano le idee chiare per accoglierli».

Insomma, il solito problema: mancano le regole.

«Esattamente. Regole chiare che danno delle linee guida, che offrono dei punti di riferimento. Chi arriva deve sapere cosa può e non può fare. Come comportarsi. È questa mancanza di chiarezza che fa sì che l’immigrazione venga avvertita ancora di più un problema. Che poi esplode».

E cosa c’entrano le fazioni?

«Le partigianerie politiche non ci stanno permettendo di fare un ragionamento approfondito. Non puoi gridare all’emergenza quando ti fa comodo e poi non fare nulla per affrontare il problema. L’inconcludenza sull’integrazione riflette in fondo l’inconcludenza a cui si assiste in generale in politica. E con i fatti di cronaca purtroppo emerge ancora di più che non si può fingere indifferenza. Che il tema va posto. Perché le conseguenza sono pericolose».

Un problema politico quindi?

«Un Paese serio deve chiarire la sua posizione su temi come, ad esempio, lo ius soli. Nel 2018 bisogna capire come si fa a diventare cittadini italiani. Le partigianerie gridano e tifano. Sabbia negli ingranaggi senza andare alla radice, senza mettere a fuoco».

Non le sembra che un altro problema sia il numero di persone che abbiamo accolto?

«La misura certo ha la sua importanza. Da sempre, dai tempi della Bibbia, il concetto di straniero è problematico. Per entrambi le parti. Chi riceve e chi lascia la propria terra. Io sono d’accordo però con Papa Francesco e sono per l’accoglienza. Perché l’immigrazione è l’essenza dell’umanità che da sempre si muove, si sposta. È chiaro che ancora di più servono le regole di cui parlavo prima. E le può dettare solo uno Stato serio».

E allora che fare?

«I fondi ad esempio. Sono state spese cifre ingenti per la voce accoglienza. Lo sforzo c’è stato. Ma molto spesso questi soldi sono stati sprecati. E gli immigrati sono stati semplicemente lasciati lì, parcheggiati ad aspettare non si sa bene cosa».

E questo fa arrabbiare chi li vede appunto «parcheggiati».

«Indubbiamente. Rimanere immobili anche per anni non fa bene a nessuno. A chi vive questa situazione e ai contribuenti. Ma questa ovviamente non è integrazione».

IL GIORNALE

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