Un viaggio per capire come cambiamo
Fossimo negli Stati Uniti, la chiameremmo «transformational election», con ciò intendendo che il voto del 4 marzo è un appuntamento potenzialmente capace di provocare un cambiamento profondo.
Tanti fattori concorrono a sottolineare l’importanza non rituale delle prossime elezioni, a cominciare dal debutto di una nuova legge, frutto di equilibrismi che proiettano l’Italia nella spiacevole condizione di ritrovarsi molto probabilmente il 5 marzo senza una maggioranza in grado di governare. Un’incertezza pericolosa nel momento in cui servirebbero chiarezza e guida salda visto che le previsioni disegnano un percorso accidentato per la crescita economica che il Paese ha ritrovato dopo un decennio di crisi. E anche la radiografia dei contendenti presenta aspetti inediti, con il Movimento 5 Stelle indicato in cima alle preferenze per la prima volta in un voto politico nazionale;
con il ritorno in scena da protagonista – e possibile vincitore guardando alle coalizioni – di Silvio Berlusconi, a dispetto di una sentenza che gli impedisce di avere il proprio nome sulla scheda; con le difficoltà del centrosinistra, la forza che ha guidato il Paese negli ultimi anni e che ora cerca una nuova legittimazione dopo aver registrato l’ennesima frattura all’interno del Pd, passato dal 40% delle Europee del 2014 a percentuali molto inferiori.
È di fronte a un quadro di questo tipo che «La Stampa» ha deciso di compiere un viaggio nell’Italia che va verso le urne, un viaggio che vuole ribaltare gli schemi, mettendo in primo piano le voci di quello che una volta si sarebbe definito il Paese reale per farle arrivare, forti, ai politici che come da copione ora «assicurano che», «si impegnano a», «promettono di». Continueremo, certo, a dare spazio al dibattito «dei» e «fra i» candidati, alla cronaca elettorale di ogni giorno, ma vorremmo con questa iniziativa che per una volta i politici ascoltassero di più gli italiani ai quali chiedono il voto.
Abbiamo preso in esame i temi che più condizionano l’Italia di questi anni e li abbiamo proiettati sulla cartina della Penisola ricavandone un percorso che ci accompagnerà da Nord a Sud nell’ultimo mese della campagna elettorale. Luoghi e volti per parlare di lavoro e crisi bancarie, di pensioni e immigrazione, di criminalità e di frontiere della tecnologia, di speranze dei giovani e di inquietanti derive estremistiche.
Che cosa si aspettano gli italiani dal 4 marzo? In che modo i loro sogni e i loro timori trovano rappresentanza nei programmi dei partiti? Quanto sono forti la delusione e la mancanza di fiducia che alimentano l’astensionismo?
Il viaggio nell’Italia verso il voto parte da un luogo diventato simbolico e da una categoria figlia della modernità e del precariato. Il luogo è Taranto, lo stabilimento dell’Ilva, dove il tema dell’occupazione si sposa con la tutela della salute e con la capacità di competere in mercati diventati globali; la categoria è quella dei fattorini che ci portano la cena a casa in bici: fra loro ci sono giovani che cercano di costruirsi un futuro e uomini maturi che un futuro se lo sono visti rubare dalla crisi e sono costretti a ripartire da zero. Leggete che cosa dice un medico a Mattia Feltri a proposito degli indici di depressione che colpiscono la zona di Taranto. O riflettete sulle parole che una fattorina di 24 anni consegna con disarmante semplicità a Davide Lessi: «Non ho mai prestato attenzione alla politica perché ho sempre avuto l’impressione che la politica non ne avesse per la mia vita quotidiana». Ecco, il vero termometro del clima politico sta più in queste storie che in tanti proclami e slogan. Se vogliamo cercare di capire un po’ di più l’Italia che uscirà dalle urne è anche da qui che bisogna partire. Non per unirsi a un inno allo sconforto e alla disillusione, al contrario, per capire quali risposte concrete servono, come restituire fiducia a quella parte del Paese che l’ha smarrita. Al di là dei nomi e dei partiti, un’elezione a questo dovrebbe servire.
LA STAMPA