Il Festival balla sulle uova. Si vota, c’è poco da ridere

Alberto Mattioli
inviato a sanremo

Vabbé, inutile girarci intorno. Quest’anno il Sanremone ha un problema, e non piccolo: fra meno di un mese si vota. Quindi sono mobilitate ancora più del solito tutte le antiche riserve di democristiana prudenza di Raiuno. Che non scappi una parola di troppo, una battuta inappropriata, un accenno men che bipartisan.

Tutto pronto per Sanremo: la sfilata dei 20 big sul red carpet

 Par condicio è bene; non parlare di nulla di politicamente sensibile, è meglio. Sanremo sarà pure il festival dell’insulsaggine, ma ha sempre seguito, e spesso anticipato, le svolte politiche nazionali. E, visto che clima, all’esterno di questa bolla di fiori e canzoni, nel Paese reale e macerato, è tutt’altro che sereno, troncare e sopire diventa ancora più imperativo. E forse anche più difficile: «Sarà come ballare sulle uova», sospira un papavero abbastanza alto della rete ammiraglia.

 

Il mitico Nando Pagnoncelli, sondaggista in carica della Maison, parla, in perfetto stile Rai 1, di «comprensibile cautela». Però ricorda che non è la prima volta che si presenta il problema: nel 2013, Fazio III, il momento preelettorale era analogo, con l’aggravante delle dimissioni di Benedetto XVI la mattina della prima serata. «Ma mamma Rai è attrezzata», spiega Pagnoncelli. In effetti, tutte le possibili mine sono state preventivamente disinnescate.

La scelta, quest’anno, di un direttore artistico musicista per un festival di musica, che bizzarramente risulta l’eccezione e non la regola, serve anche a concentrare l’attenzione sulle canzoni invece che sul contorno spettacolare (e poi Baglioni non è un cantautore politico. Ha sempre parlato d’amore e solo d’amore, un perfetto democristiano dei sentimenti). I copresentatori sono accuratamente bilanciati. Pierfrancesco Favino è un attore, quindi presumibilmente di sinistra, corrente Cinecittà; Michelle Hunziker viene da Mediaset, dunque è vagamente di destra.

Le canzoni evitano accuratamente temi politici o sociali «caldi», a parte il duetto di Ermal Meta e Fabrizio Moro sul terrorismo, e ovviamente per condannarlo. Non pervenuti nemmeno eventuali comici: meglio togliere alla satira ogni tentazione. Certo, stasera per pompare gli ascolti del debutto c’è Fiorello. Ma lui tutto è meno che divisivo. È come la pizza: piace a tutti, destra, sinistra, centro, sopra e sotto.

A mettere un po’ di pepe in questa ribollita ha provato ieri il solito kamikaze del Pd Michele Anzaldi, montando una polemichetta prêt-à-penser contro la presenza nella giuria di qualità di Andrea Scanzi, giornalista del «Fatto» che sarebbe stato addirittura «in procinto» di candidarsi per il M5S. Quisquilie e pinzillacchere, avrebbe detto Totò.

Invece è confermata la calata di Salvini, all’Ariston venerdì per interposta Isoardi. Ha comprato il biglietto, ci sarà, le telecamere, annuncia il direttore di Rai 1, Angelo Teodoli, non lo inquadreranno e se comizierà lo farà fuori, per i fatti suoi (anche Grillo, a suo tempo, fu ignorato così). Insomma, altro che cautela: siamo all’iperprudenza.

E quindi in sala stampa non resta che aspettare ancor più golosamente l’immancabile incidente con contorno di polemiche. Altrimenti, che Sanremo sarebbe?

LA STAMPA

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