Nell’hotel a 4 stelle del profugo accusato

Doveva avere un’ottima ragione Lucky Awelima per lasciare la propria residenza dorata: un albergo a 4 stelle tra Macerata e Montecassiano, l’hotel Recina.

Da qui Awelima si è allontanato venerdì, destinazione Stazione Centrale di Milano. Secondo i suoi piani avrebbe dovuto proseguire il viaggio per la Svizzera.

«Un normale trasferimento», dice lui; «un tentativo di fuga», ribattono i carabinieri che lo hanno arrestato dopo una notte di interrogatori.

Ora Awelima si trova nel carcere di Ancona. I suoi vicini di cella sono anche i suoi presunti complici: Innocent Oseghale e Desmond Lucky. Tutti nigeriani, tutti e tre accusati di aver ucciso, tagliato a pezzi e chiuso in due trolley il corpo di Pamela Mastropietro, 18 anni, romana, «colpevole» solo di essere incappata in tre belve.

Si scopre oggi che Lucky Awelima, 27 anni, da più di un anno (dopo essere sbarcato in Sicilia con lo status di «profugo di guerra») alloggiava a spese dello Stato italiano in un resort che le recensioni su TripAdvisor indicano di «ottimo livello» sotto ogni profilo: servizi, accoglienza, menù, stanze. Qui un pernottamento costa circa 100 euro al giorno. Gratis per i clienti speciali come Lucky Awelima. Lui infatti era formalmente «un perseguitato politico» che l’Italia proteggeva dalle violenze del suo Paese, la Nigeria. Ma alla luce delle accuse che ora gli vengono mosse, c’è il fondato sospetto che Awelina sia più un carnefice che una vittima.

A incastralo nell’atroce delitto di Pamela, più che le testimonianze dei suoi due connazionali in galera, sono le tracce del cellulare che lo «posizionano» nel giorno dell’omicidio di Pamela proprio in via Spalato dove c’è l’abitazione di Oseghale, teatro dello scempio del corpo della ragazza. I responsabili dell’hotel Recina saranno presto interrogati per verificare la fondatezza o meno dell’alibi indicato da Awelima, il quale sostiene di «non essersi mai allontanato dall’hotel il 30 gennaio», giorno in cui si è consumata l’orribile fine di Pamela.

Ieri alle 13:49, quando il Giornale ha telefonato per chiedere conferma della presenza di Lucky nei registri dell’albergo, un cortese ma deciso concierge ha risposto: «I responsabili dell’hotel non ci sono e io ho l’assoluta consegna del silenzio. Riprovi domani». Sempre ieri alle 16:45 rispondeva solo il sibilo di un fax al numero dell’associazione Acsim di Macerata che avrebbe fatto assegnare al nigeriano l’alloggio in hotel.

Un filo conduttore unisce Innocent Oseghale, Desmond Lucky e Lucky Awelima: la droga. Un terzetto di spacciatori. Oseghale, 29 anni, «rifugiato» espulso dal programma di protezione per spaccio (nella sua casa sono stati trovati i vestiti insanguinati di Pamela e un testimone lo ha visto disfarsi delle due valigie con dentro i poveri resti della ragazza uccisa); Desmond Lucky, pusher di piccolo cabotaggio, incensurato, accusato di aver «concorso nell’omicidio, nel vilipendio e nell’occultamento del cadavere della 18enne»; Lucky Awelima, sospettato di essere il «macellaio» che ha effettivamente sezionato il cadavere della povera Mastropietro.

Awelima non lavorava: la sua «attività professionale» era legata solo al mondo dello spaccio. Anche per questa ragione la prima domanda di asilo politico presentata da Awelima era stata respinta, ma un ricorso era pendente presso il Tribunale di Ancona. Nell’attesa, a mantenere Lucky a colazione, pranzo e cena, provvedeva lo Stato italiano. Facendolo pernottare tra l’eleganza di un hotel a 4 stelle. Un migrante, falso profugo, sospettato ora di essere un vero killer. Accade in Italia, nel 2018.

IL GIORNALE

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