Il mercato dell’auto elettrica in Italia non va. Perché?

di Milena Gabanelli e Andrea Marinelli

Le emissioni dei gas di scarico delle automobili contribuiscono al riscaldamento del pianeta. Per questo, i governi di tutto il mondo — nell’accordo di Parigi sul clima sottoscritto da 196 Paesi nel dicembre 2015, da cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di ritirarsi — hanno stabilito di mettere fine alla vendita di automobili a benzina o diesel: oggi in tutto il pianeta ne circolano più o meno un miliardo. Per riuscire a contenere il riscaldamento medio del pianeta sotto i due gradi, come proposto a Parigi, è necessario che entro 20 anni si arrivi a 600 milioni di auto elettriche. Oggi sono appena 2 milioni, lo 0,2% del totale.
Le vendite di auto elettriche nel 2017

La Cina è il Paese dove ne vengono vendute di più. Nel 2009 il Governo aveva messo a punto un piano di incentivi ancora in vigore per diventare leader entro il 2012: lo scorso anno le vendite di auto elettriche sono quasi raddoppiate arrivando a 652 mila, anche se la cifra è irrisoria se paragonata al numero totale di vetture vendute che ammonta a 28,9 milioni. Il 2017 è stato un anno importante anche per gli Stati Uniti che, nonostante il mercato delle auto sia calato per la prima volta dal 2009, sono diventati il secondo mercato al mondo per vendita di vetture elettriche grazie anche agli incentivi dell’era Obama: le immatricolazioni sono state 199.826 su un totale di circa 17,2 milioni. Nel 2017 il mercato è cresciuto anche in Europa, del 43,6%, ma a un passo più lento rispetto a Cina e Stati Uniti: le elettriche sono state 149.086 mila su un totale di 15.131.778 milioni, lo 0,9% del mercato. Oggi, per le strade del Vecchio Continente, circolano 501.798 vetture elettriche.

In classifica l’Italia non compare proprio. Nel 2017 le vendite sono aumentate, per un totale di 1.967 vetture in tutto il Paese, ma le vetture elettriche rappresentano appena lo 0,1% del mercato. Sono raddoppiate le auto ibride rispetto al 2016 — per un totale di 66 mila — ma a dominare il mercato continuano a essere le auto a benzina o diesel: secondo il focus della Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, nel 2017 ne sono state vendute 1.970.962, con un aumento del 7,9%.
Il problema delle batterie

C’è un motivo che contribuisce a frenare le vendite di automobili elettriche in Italia: gli incentivi sono fra i più bassi d’Europa — circa 3.000 euro contro una media di 9.000 — e ci sono poche colonnine per la ricarica. La più virtuosa invece è la Norvegia che, con una politica attenta all’ambiente, fra bonus governativi e una capillare rete di ricarica è riuscita ad avere un deciso impatto sul mercato. Il 52% delle auto immatricolate a dicembre 2017 era elettrico, così come lo sono circa il 20% delle auto in circolazione: l’obiettivo e di arrivare al 100% entro sette anni.

A bloccare il mercato, per ora, è anche il prezzo delle vetture: in media si aggira sui 30 mila euro, su cui pesa fino al 50% la batteria. Secondo uno studio di Bloomberg, tuttavia, dal 2010 a oggi il costo delle batterie al litio è diminuito del 73% — passando da 1.000 dollari per kWh a 273 dollari nel 2016 — e la previsione è che i prezzi caleranno ulteriormente nei prossimi vent’anni. Questo crollo è dovuto anche ai produttori di auto elettriche, in particolare Tesla, che per rendere più abbordabili le proprie vetture puntano a far scendere i prezzi delle batterie fino a 124 dollari per kWh. Le batterie, inoltre, saranno meno ingombranti, più leggere – oggi pesano una tonnellata – e più veloci da ricaricare.
E quello delle colonnine di ricarica

Se si guarda al rapporto fra costo di ricarica e chilometri percorsi, le auto elettriche sono più convenienti di quelle a benzina ed eliminano il problema delle polveri sottili, però serve un’enorme quantità di energia elettrica: con 1,4 euro si percorrono 18 chilometri con una vettura a benzina o diesel, 23 con una elettrica ricaricata in un colonnino pubblico e addirittura 39 ricaricandola a casa. I dubbi più comuni, tuttavia, riguardano la ridotta autonomia, i tempi di ricarica troppo lunghi — strettamente legati alla capacità della batteria, alla potenza della colonnina e a quella del caricabatteria installato a bordo — e, soprattutto, la scarsa diffusione delle colonnine di rifornimento.

In Italia sono 4.207 in 2.108 postazioni, una ogni 14.388 abitanti. La Germania è la migliore in Europa: 22.708 colonnine, una ogni 3.620 persone. In Norvegia invece le colonnine sono 7.855, ma ce n’è una ogni 671 persone. In totale, in Europa sono 70 mila i punti di ricarica pubblici, mentre nel Mondo si arriva a 1,45 milioni di colonnine. Siamo indietro, nonostante siano stati stanziati 33 milioni e mezzo per costruire infrastrutture di ricarica: l’impiego, però, è in ritardo.
Verso la rinuncia alle auto a benzina

In questa direzione, ad ogni modo, stanno andando quasi tutti i Paesi mondiali: la Norvegia ha deciso di eliminare completamente le auto a benzina o diesel entro il 2025 disincentivandone l’acquisto attraverso pesanti imposizioni fiscali; l’Olanda ne vuole vietare la vendita a partire dal 2025 e proibire la circolazione entro il 2035, per arrivare nel 2050 all’obiettivo zero emissioni; la Germania, principale mercato europeo delle auto tradizionali per vendite e produzioni, ha messo il limite a partire dal 2030. In Italia, invece, una risoluzione del Senato ha posto l’obiettivo del 2040, quando verrà vietata la vendita di auto a benzina e diesel: a mancare, però, è un programma chiaro per raggiungere l’obiettivo.

Un’economia che scende

Insieme al mercato delle auto a combustione interna, ci sarà anche un’intera economia che progressivamente scomparirà. Secondo uno studio del Financial Times, ad esempio, la proliferazione delle vetture elettriche farà crollare del 90% la richiesta di riparazioni in garage, perché la manutenzione dei motori elettrici è più semplice: basta pensare che il motore di una macchina Tesla è composta da appena 18 parti mobili. Con loro, ovviamente, se ne andranno i benzinai, gli autotrasportatori che consegnano carburante e, in generale, è minacciata l’intera industria del petrolio: un rapporto di Fitch Ratings, non a caso, consiglia alle compagnie petrolifere di «non mettere la testa sotto terra di fronte alle nuove tecnologie, altrimenti saranno guai».

Un’economia che sale

Aumenterà vertiginosamente, invece, la richiesta di energia elettrica per alimentare le colonnine e ricaricare le vetture. Da qui al 2030, per esempio, in Inghilterra le auto elettriche passeranno da 90 mila a 9 milioni e, secondo uno studio del colosso energetico National Grid, questo aumento non sarà sostenibile per la centrale nucleare di Hinkley Point C, di proprietà della stessa multinazionale di Warwick: nello scenario più estremo saranno necessarie sei centrali per soddisfare la richiesta. Stando a National Grid, tre delle quattro soluzioni prevedono principalmente l’utilizzo di energia solare, da integrare con la costruzione di nuove centrali nucleari e con lo shale gas, che dovrebbe diventare a zero emissioni.

Da dove arriverà l’energia nel futuro

Lo conferma al Corriere della Sera Davide Tabarelli, presidente e fondatore di NE-Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia e l’ambiente, secondo il quale la domanda mondiale continua a salire, e quindi dovrà crescere la produzione. L’obiettivo è che una soluzione arrivi dalle fonti rinnovabili, è cioè dal sole, ma in futuro, secondo Tabarelli, il fabbisogno sarà soddisfatto per il 30% dal carbone, per una altro 30% dallo shale gas, per il 15% dall’idroelettrico, per un altro 15% dalle nuove rinnovabili e per il 10% dal nucleare.

Tabarelli, tuttavia, è scettico sul fatto che si possa arrivare a far circolare milioni di auto elettriche entro il 2040 e vede un pericolo «nell’equilibrio fra le aspettative e i numeri»: il suo timore è che «Tesla possa diventare la nuova Enron», la multinazionale energetica americana protagonista di uno dei più fragorosi fallimenti della storia. Lo conferma l’investitore americano Jim Chanos, che si arricchì scommettendo contro il colosso texano, secondo il quale l’azienda produttrice di auto elettriche è «strutturalmente non redditizia» e continua a rimandare i propri obiettivi. «Tre anni fa si diceva che oggi sarebbe stata in attivo, oggi si dice che lo sarà fra tre anni», ha dichiarato a Bloomberg.
Insomma: si va verso l’elettrico, ma non sappiamo bene come e siamo ben distanti dalla soluzione del problema. Quello che serve, più di ogni altra cosa, è un’educazione a consumare meno e a usare, quando possibile, i mezzi pubblici. Anche questo andrebbe insegnato nelle scuole ai nostri figli.
CORRIERE.IT
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