Forze dell’ordine elogiate solo se c’è il morto

Pubblichiamo la lettera inviata al direttore di “Avvenire” dalla moglie di un poliziotto in prima linea durante i cortei che hanno scatenato la violenza dei manifestanti a Piacenza.

A Piacenza sabato 10 febbraio c’ero anch’io, e con me tutte le madri, le mogli, le fidanzate e i figli che con amore, ma soprattutto con dedizione, forza e coraggio riescono a stare al fianco di un uomo che indossa una divisa. Io c’ero e con me c’erano tutte quelle donne che, loro malgrado, sono state costrette ad accettare un lavoro che non hanno scelto e che spesso le condiziona. Io sono una di loro: sono la moglie di un poliziotto. Sono una di quelle donne che hanno imparato a dividere il proprio compagno con la Polizia di Stato; sono una di quelle donne che hanno dovuto comprendere, loro malgrado, cosa significhi vivere in balia di turni e di esigenze di servizio. E non solo. Credo che soltanto chi vive certe situazioni, possa poi capirle in pieno.

Solo noi sappiamo cosa voglia dire salutare quasi ogni giorno un pezzo della propria famiglia, augurandosi che torni indenne e vivo dal servizio che gli è stato assegnato. Solo noi sappiamo cosa significhi, a volte, sentirsi messe in secondo piano rispetto a una professione che richiede abnegazione e sacrificio. Sabato, mio marito era in servizio a Piacenza e con la sua squadra ha affrontato, con coraggio e sangue freddo, gli stessi manifestanti che da lì a poco hanno assalito e malmenato un Carabiniere. In questi giorni, mi sono chiesta spesso cosa sarebbe successo se mio marito non fosse così innamorato del suo lavoro, se non si fidasse dei suoi ragazzi così profondamente da considerarli pezzi leali della nostra famiglia, ma soprattutto se non fosse così pacato nelle sue reazioni.

Ho guardato le immagini che ritraevano una decina di uomini pronti a fermare un intero corteo; una decina di uomini uniti, compatti ma soprattutto decisi a portare a termine quello che era stato detto loro di fare; una decina di uomini chiamati a indossare un casco e a portare un manganello a tutela della sicurezza di tutti e della propria incolumità preparati ad affrontare quattrocento manifestanti, tutt’altro che pacifici, armati di bastoni e di lacrimogeni e con il volto coperto. Mi sono chiesta perché le Istituzioni intervengano solo davanti a un uomo ferito o addirittura morto, perché sui giornali e alla tv si parli solo degli errori delle Forze dell’ordine e non si elogino mai uomini che, nonostante tutto e tutti, dimostrano di sapere fare il proprio lavoro senza eccedere. Numerose sono state le testimonianze di stima e di affetto che, in questi giorni, hanno circondato la mia famiglia, testimonianze che hanno reso me e mia figlia orgogliose di essere parte della Polizia di Stato. Credo però che qualcosa dovrebbe essere detto e fatto, a dimostrazione che un buon addestramento e soprattutto il saper «fare squadra» possa fare molto in situazioni come quelle che ultimamente si ripropongono a ogni manifestazione. Mi scuso per lo sfogo, direttore, e anche di chiederle di coprire con discrezione il mio nome. Ma non sono solo la moglie di un poliziotto, sono anche la mamma di una giovane adolescente a cui vorrei trasmettere serenità tanto quanto l’importanza dei valori per cui ogni giorno suo padre si trova a combattere in questa nostra Italia…

Lettera firmata

IL GIORNALE

 

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